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Parola a Patrizia Panico "Ragazze, credete in voi stesse"

A tu per tu con la prima donna alla guida di una selezione azzurra maschile: questo il suo messaggio alle giovani calciatrici

06 Novembre 2018

Patrizia Panico

Patrizia Panico

Patrizia Panico

23 titoli e più di 600 gol in carriera, numerosi primati tra Nazionale e Serie A, un posto nella Hall of Fame. Ecco le credenziali che sono state necessarie ad una donna, la prima, per allenare una nazionale di calcio maschile, l’Under 15. E non una donna qualunque: Patrizia Panico, leggenda del calcio italiano ed emblema del movimento femminile, ha abbattuto un altro record - e un’enorme barriera - anche fuori dal rettangolo verde. L’incarnazione perfetta della crescita del calcio in rosa.

Prima donna ad allenare una selezione maschile (Italia Under 15). Come sta andando la nuova avventura?

“Per ora, allenando giovani, non ho trovato impedimenti. Non avevo aspettative: è un percorso completamente nuovo per me ed ero pronta a tutto, anche a trovare qualche rifiuto. Invece i ragazzi si interfacciano in maniera disinvolta, mi ha colpito la loro disponibilità e spontaneità”.

Quanto è stato difficile, per ostacoli e pregiudizi trovati?

“Da giocatrice ho visto tanti scenari del genere davanti a me, anni fa il calcio femminile non era visto come oggi. Non ho ricevuto mai ostruzionismo, ma perplessità sì, tanta. Ho trovato meno ostacoli da allenatrice che da giocatrice, attualmente per fortuna c’è più apertura grazie all’interesse dei grandi club verso il movimento femminile: questo ha abbattuto molto scetticismo”.

Quale consiglio dai, su queste dinamiche, alle giovani calciatrici?

“Non c’è una ricetta assoluta. Da giocatrice me ne sono fregata di giudizi e rimostranze altrui, andando avanti per la mia strada: la ritenevo la più giusta per me. Consiglio di credere sempre, fortemente, in quello che si sta facendo al di là delle opinioni degli altri”.

Dal campo alla panchina: quanto cambia un allenamento, se al maschile o al femminile? Il calcio alla fine è uno…

“Si struttura in maniera identica, cambia solo il fattore fisiologico dovuto alla diversa forza tra ragazzo e ragazza: da ciò derivano situazioni differenti in campo, ma la formazione è impostata allo stesso modo. Il calcio è uno, maschi o femmine, poi si parla di logica”.

Vedi ragazzi/e promettenti per il futuro?

“Sto facendo molto scouting. Un’annata molto buona per le ragazze è quella 2007, potremo toglierci soddisfazioni. Tra i ragazzi vedo tanti talenti, non a caso le nostre Nazionali Under 17 e 19 sono arrivate in finale nell’Europeo di categoria. Prospetti di livello ne abbiamo, la questione è fargli fare presto esperienza tra Serie A e B, su questo siamo indietro rispetto ad altri Paesi”.

Nei prof la Nazionale A si è qualificata al Mondiale e la FIGC ora coordinerà Serie A e B; nei dilettanti approda l’Eccellenza: segnali buoni.

“C’è crescita quando c’è visibilità. Il Mondiale è un’ottima cosa e noi potremo dare fastidio anche alle big: questo porterà entusiasmo. Abbiamo poi anche l’apertura di Sky per Serie A e B. Per le altre categorie dipende tutto dall’intenzione delle società di voler crescere dalla base: non si va avanti se si allestisce solo una squadra per fare punteggio”.

È evidente la crescita del calcio femminile in Italia: la tua opinione?

“Quando si affacciano grandi club come Juventus, Milan, Fiorentina, Roma, Lazio, squadre di cui i genitori di tante giovani atlete sono tifosi, ecco che i pregiudizi crollano subito: quei genitori diventano i primi ad incentivare le ragazze a giocare. Il dilettantismo genera scetticismo, era il gradino da superare. Interfacciandosi con il professionismo, le famiglie guadagnano fiducia ed entusiasmo, sostenendo la scelta delle figlie”.

È la strada giusta per migliorare anche a livello regionale?

“È iniziato un percorso. Il raggiungimento del traguardo finale è lontano, ma è stata tracciata una via. Lo dicono i numeri, dati raccolti a fine stagione negli ultimi anni: le iscritte al settore giovanile scolastico sono moltiplicate e il calcio è uno degli sport dove c’è un incremento costante di partecipazione femminile”.

E nel Lazio, da dove provieni, come cresce il movimento?

“Ho riscontrato l’esistenza di diverse scuole calcio con squadre tutte al femminile, mentre prima c’era solo qualche bambina all’interno di un collettivo maschile. Una dinamica interessante, è incoraggiante anche sapere di istruttrici al lavoro nella formazione primaria. A Roma, un bacino non indifferente, c’è sempre più interesse: è un segnale importante”.

Come è cambiato il panorama giovanile laziale rispetto a quando tu hai iniziato?

“È totalmente differente, anche se io praticamente non ho mai fatto settore giovanile. Quando ho scelto di giocare a calcio, 10/11 anni, sono stata subito inserita in una squadra ‘di grandi’: non perché fossi particolarmente brava, ma perché non c’era la possibilità di giocare con ragazzi o ragazze pari età, mancavano proprio i numeri in molte realtà. A quell’età confrontarsi con atlete adulte, già strutturate, non è stato facile: tutto era meno accessibile al tempo, ora ci sono strutture diverse”.

Visto il tuo legame con il territorio, in cosa dovrebbe migliorare ancora il calcio laziale?

“C’è ancora tanto da fare. Ci sono ancora realtà romane o laziali che militano in categorie importanti che però non hanno una prima squadra, un settore di base o giovanile, femminili. Bisogna propagandare il movimento laddove il calcio maschile ha già una forza importante. In club con 2/3/400 iscritti alla scuola calcio, è assurdo che non ci siano gruppi al femminile”.

In pratica, occorre solo replicare modello?

“In queste società arrivano tantissimi maschi, magari dopo qualche anno di nuoto. Invece le femmine bisogna portarle, per questo c’è bisogno di propaganda. I club dovrebbero ragionare in modo diverso: questa è la difficoltà”.

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