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13 Dicembre 2020
Mirko Frezza in una foto con la Borgata Tor Sapienza, squadra di Terza Categoria di cui è presidente onorario
Mirko Frezza, nome nuovo del cinema italiano che negli ultimi anni ha saputo strappare consensi grazie a prove importanti come quelle fornite nei vari Dogman, Quanto basta, A mano disarmata, Una vita spericolata, La banda dei tre, senza dimenticare il Il più grande sogno, pellicola diretta da Vannucci e arrivata sino al prestigioso Festival di Venezia. Mirko Frezza però è uno che non ha mai dimenticato le proprie origini. Arrivato da un quartiere problematico e passato attraverso il carcere ha saputo rinascere attraverso il cinema e la famiglia. Una rinascita che non ha cancellato in lui il rapporto con il suo passato ma anzi lo ha spinto ad aiutare concretamente, attraverso un’associazione come Casale Caletto, chi come lui è nato dove spesso le istituzioni faticano ad arrivare.
Mirko Frezza, professione attore. Te l’avessero detto da bambino ci avresti creduto?
“Da piccolo, per prendermi in giro, gli amici mi dicevano sempre che avevo la faccia d’attore e poi ho sempre avuto una grande passione per i film western. Certo, crescendo in un quartiere come il mio pensavo ad uno stile di vita completamente diverso”
Perchè, dove sei cresciuto?
“Sono cresciuto a La Rustica, tra Tor Bella Monaca e San Basilio. Non proprio un quartiere semplice. Per me era un micro mondo, sono sempre stato nel mio quartiere almeno fino a quando non ho iniziato col cinema che mi ha permesso di vedere l’Italia e scoprire posti bellissimi”
Il cinema per te vuol dire tanto quindi.
“Per me il cinema si è sostituito alle istituzioni per cui sono un soggetto deviato e deviante. Grazie al cinema ho avuto la spinta a studiare, ad usare un lessico diverso e a proseguire un percorso di crescita professionale e umana”.
L'intervista integrale sarà disponibile sul giornale in edicola lunedì 14 dicembre, acquistabile anche tramite la nostra edicola digitale.
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