Cerca
Editoriale
05 Aprile 2016
La coreografia dei tifosi dell'Ajax in onore di Johan Cruyff (Foto © Twitter/AFC Ajax)
Il 24 marzo scorso muore a Barcellona Johan Cruijff. Da giocatore vinse nove Campionati olandesi, sei Coppe d’Olanda, una Liga, una Coppa del Re, tre Coppe Campioni, una Supercoppa europea e una Intercontinentale. Incantò il mondo capitanando ai mondiali del ‘74 una delle squadre più forti della storia del calcio. Vinse tre palloni d’oro. In una nazione come la nostra in cui vige il motto bonipertiano secondo cui “vincere non è importante ma è l’unica cosa che conta”, basterebbe citare questo palmares per glorificare la grandezza del profeta del gol. Ma Johan Cruijff fu per la storia del calcio molto più di quello che vinse. La parola che più di tutte definisce il suo stare nel mondo del pallone è rivoluzione. Da giocatore incarnò l’idea di calcio del maestro Rinus Michels, che tutto il mondo ricorda nelle prestazioni dell’Ajax tre volte campione d’Europa e dell’Olanda finalista ai Mondiali del ‘74. Si tratta del cosiddetto “calcio totale”: flessibilità dei ruoli e delle posizioni, undici giocatori in trenta metri di campo, velocità di giocata, ricerca essenziale e geometrica dello spazio. Quella squadra inventò il calcio moderno, un calcio mai pensato prima di cui Johan fu l’indiscusso profeta. La seconda rivoluzione si ebbe quando nel 1988 il 14 più famoso della storia del calcio divenne allenatore del Barcellona. Quel giorno nacque l’allenatore moderno: gli aspetti tecnico-tattici costituivano il fulcro di tutto e il 3-4-3 divenne una scienza da trasmettere, realizzabile attraverso le irriducibili qualità dei singoli. Le componenti carismatica e comunicativa assumevano una peculiare centralità: il modo di vestire e di stare in panchina, le altezzose difese pubbliche delle sue idee, i rimproveri a campioni come Stoickov nelle conferenze stampa. Il ruolo manageriale che Cruijff pretese non ebbe precedenti: nessuno poteva metter bocca nelle sue decisioni e nella scelta dei suoi collaboratori, impose le sue idee tattiche all’intera cantera in modo da poter inserire giovani esordienti senza problemi, aveva l’ultima parola sulle scelte di mercato. Cruijff racchiudeva in sé caratteristiche di Guardiola, il suo più fedele discepolo, di Mourinho, anche se più elegante e di Ferguson, pur essendo meno british. Fu il primo allenatore ad essere una figura pubblica ed intellettuale. Nonostante la storia del calcio sia popolata da mercenari come Ibrahimovic, da palloni gonfiati come Balotelli e da altri cattivi esempi per le giovani generazioni, essa è anche una fucina di esempi virtuosi ed eticamente esemplari. Cruijff insegna alle giovani generazioni che le rivoluzioni sono possibili. Esse si realizzano attraverso la capacità di pensare qualcosa di nuovo e la consapevolezza che il singolo, per quanto profeta, è sempre la parte di un tutto che lo eccede. L’avventura sportiva del ragazzo olandese figlio di un verduraio e di una donna delle pulizie dello stadio De Meer di Amsterdam, si riassume nelle parole di Camus: “Tutto quello che so sulla moralità e sui doveri degli uomini, lo devo al calcio”.
EDICOLA DIGITALE
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni