l'intervista
"Fieramente controcorrente" firmato Andrea Persia
L'intervista rilasciata dall'ex tecnico della Perconti e del Pomezia e pubblicata sull'edizione di lunedì 12 giugno
Non è un endorsement, nè una "sponsorizzazione". Anche perché lui, Andrea Persia, non apprezzerebbe. Il senso dell'intervista che gli ho chiesto di realizzare insieme è quello di dare voce a un giovane allenatore talentuoso, vincente, estremamente corretto, che non pensa a vendersi bene ma a lavorare sodo con gli scarpini ai piedi, la tuta e il fischietto. Dallo scudetto della Perconti alla poco edificante esperienza al Pomezia, passando per la nascita della figlia fino all'immediato futuro. Sogna il professionismo e timidamente dice "penso che potrei meritare una chiamata", per il sottoscritto quel merito è certezza.
Si è chiuso un capitolo scuro della tua carriera, tu che da tutti sei sempre stato riconosciuto come un tecnico capace, vincente, trasparente, genuino, come ti senti? “Mi sono sempre comportato onestamente nella vita, privilegio la schiettezza e la sincerità. Per me è naturale, mi fa stare sereno, mi permette di costruire rapporti umani che vanno oltre il calcio”.
Quando si dice sentirsi con la coscienza a posto? “Si, sicuramente. Per questo sono molto sereno, perché so di aver lavorato in maniera onesta e pulita. Ho sempre cercato di risolvere i problemi con chiarezza”.
E di lavare i panni sporchi in famiglia? “È l'educazione che mi hanno trasmesso i miei genitori. Porto dentro questo valore sin da bambino, vivo lo spogliatoio come una famiglia e dentro quelle quattro mura devono rimanere i problemi”.
365 giorni fa, il giorno più bello della tua carriera. “La più grande emozione sportiva da allenatore. Penso di aver fatto cose importanti con l'Urbetevere, con l'Aprilia e nella prima esperienza con il Pomezia. Però il titolo regionale e lo Scudetto vinti sul campo al 90' superano tutto. Quando sono triste, come è stato in questi mesi, ripenso a quei momenti, ai miei ragazzi, come dei figli. Lì ritrovo il sorriso”.
La Perconti è una delle realtà più importanti a livello nazionale, tu hai centrato titolo regionale e Scudetto al primo anno. Quanto è stato difficile? “A livello di organizzazione, di struttura, di staff è un club professionistico, sei nelle condizioni di lavorare al massimo. Credo che quanto fatto lo scorso anno sia estremamente difficile. È diverso avere tanto tempo per progettare e trasmettere la tua metodologia, dal partire sapendo di dover vincere nove mesi dopo. I meriti ci sono per tutti, dalla società ai giocatori, però penso che anch'io ho fatto qualcosa di grande”.
La squadra sembrava aver recepito pienamento la tua idea di calcio. “L'ho sentita estremamente mia. Per un tecnico vedere i propri insegnamenti applicati sul campo è il massimo. Quando è così forte la simbiosi si crea un legame unico, vedevo i ragazzi scendere in campo con la mia determinazione e i miei concetti. Nessuno come loro mi ha datto tante soddisfazioni”.
Ti mancano? “Beh si, anche se li sento spesso. Un rapporto speciale, così come l'Aprilia dei '95 e l'Urbetevere dei '93. Per me, soprattutto se parli di giovanili, l'aspetto umano è fondamentale. Ho avuto tanti grandi allenatori, ma quelli del settore giovanile hanno la possibilità di cambiarti la personalità”.
365 giorni dopo situazione opposta. “Ho passato 8 mesi di “arresti domiciliari” come dico con goliardia. Sono una persona abituata a stare dentro al campo, togliermi questo è il peggior torto che mi si possa fare ed è quello che mi è successo in questa stagione. È il mio momento di felicità, ora l'ho metabolizzata, ma i primi mesi sono stati difficili, ringrazio la mia famiglia, la mia compagna e gli amici di sempre che mi sono stati vicini”.
Quale colpa hai pagato? La situazione non era così disastrosa... “Sono stato contatto pochi giorni dopo lo Scudetto da persone con cui avevo già lavorato al Real Pomezia, con cui ho un buon rapporto. Il progetto era quello di creare un gruppo di giovani da valorizzare e fare un campionato di livello, non vincere con un distacco di venti punti”.
Cosa è cambiato? “Sono un allenatore senza procuratore né sponsor, vado avanti per quello che dimostro, pensavo fosse la scelta ideale per il mio percorso. Poi, a fine agosto, sono subentrate in società altre persone che hanno preso un potere maggiore rispetto a quanto mi era stato detto e sono cambiate parecchie cose”.
Precisamente? “All'inizio del campionato la nostra era una rosa in fase di costruzione. Arrivavano giocatori che mandavo in campo praticamente senza aver partecipato agli allenamenti. Dopo le prime quattro giornate avevo già il fiato sul collo, poi la squadra ha cominciato a ingranare e a fare risultati grazie al lavoro. Tre successi di fila, prima del ko di Arce. In ciociaria avevamo in campo 5 grandi e 6 under. Nonostante due uomini in meno per espulsione, abbiamo perso 3-2 all'ultimo su situazione rocambolesca”.
Poi il derby. “Si, avevo a disposizione 3 grandi e 8 under, sconfitti su rigore al minuto 88. Il lunedì ero sollevato dall'incarico. In quel momento eravamo settimi, con una squadra molto diversa da quella che poi ha chiuso il campionato. La mia sensazione, forte, è che le persone subentrate volessero il mio allontanamento il prima possibile”.
Al tuo posto Gagliarducci. “Un tecnico che stimo, che ha vinto, il meglio che c'era. La verità però è che per vincere serve programmazione, alla fine il risultato è stato un 8° posto, nonostante gli acquisti importanti fatti a dicembre. Uno su tutti Ceccarelli, 12 gol in 14 partite”.
Nel calcio contano i numeri. “Se Gagliarducci avesse centrato il 3° o il 4° posto mi sarei fatto un esame di coscienza, al di là del fatto che la mia squadra, ripeto, non era la stessa. I numeri parlano chiaro, nel calcio non si vince senza programmazione”.
Che idea ti sei fatto? “Non mi interessano le questioni interne, dico solo che ho sempre avuto la sensazione che al primo passo falso sarei stato allontanato, come poi si è verificato. Purtroppo è l'idea di calcio che è diversa, così come le esperienze di vita. Sono fiero del mio percorso e delle persone di cui mi circondo”.
Se avessi saputo prima cosa avresti fatto? “Non avrei mai firmato. È stata un'esperienza spiacevole, mi è capitato solo una volta in 35 anni. Anche se avessi terminato la stagione sarei andato via, il Pomezia non è l'ambiente per me, io voglio fare calcio in maniera differente”.
Da una delusione alla più grande gioia della tua vita, la nascita di tua figlia. “Il momento di vuoto calcistico mi ha permesso di stare vicino alla mia compagna e di vivere a tempo pieno l'esperienza più emozionante che un essere umano può vivere. L'ho capito quando me l'hanno messa in braccio... Niente eguaglia la bellezza di diventare padre”.
Ma si dorme meno quando hai un figlio piccolo o prima di una finale Scudetto? - Sorride, ndr - “Sono cose diverse, in comune c'è solo il fatto che non dormi. A pensarci dopo però è piacevole”.
Sei pronto a ripartire? “Ho ricevuto qualche chiamata, sto cercando una giusta soluzione che sia soddisfacente per l'aspetto lavorativo e che mi parmetta anche di essere presente come padre e compagno. Ancora non c'è la situazione ideale, che siano grandi o sia settore giovanile, l'importante per me è trovare l'ambiente adatto. Credo di aver dimostrato di valere qualcosa”.
L'idea più stimolante? “Beh, allenare una professionista, penso che potrei meritare un'opportunità. Ci penso sempre, oltre all'Aprilia non ho mai partecipato ai tornei Nazionali. Sono un grande tifoso della Lazio, sono stato anche un giocatore biancoceleste nelle giovanili, mi piacerebbe tanto ricevere una chiamata da loro”.
Anche dalla Roma? “Ci mancherebbe!”
Mi permetto di fare una considerazione personale. Sembra che il mondo del calcio fatichi a riconoscere il tuo valore, hai sempre dovuto faticare tantissimo per ottenere. Un anno fa eri campione d'Italia, non sei stanco? “Mi va benissimo lottare per ottenere, sono sempre stato uno che ha fame. Nella mia vita non ho mai avuto agevolazioni, ma ti assicuro che quando assapori il gusto della vittoria la soddisfazione non ha limiti. Per questo non mi sponsorizzo, come fanno tanti altri che sono spesso sui giornali, in televisione. Torno a parlare dopo 8 mesi, ma per chi conosce il calcio parlano i miei quindici anni da allenatore. Vorrei essere cercato da chi crede in me e nelle mie idee”.
Vuoi lanciare un messaggio al mondo del calcio? “Ripeto sempre a me stesso e ai giocatori che alleno, l'umiltà è la base del successo. Il messagio che lancio è che dobbiamo dare spazio agli uomini di campo, a quelli che hanno dimostrato il loro valore anche se non sono mediatici. Crediamo negli uomini, crediamo in chi merita e diamogli l'opportunità, perché se no facciamo il male del calcio. In un certo senso vado fieramente controcorrente, non mi piace andare a vedere le partite dei colleghi in difficoltà, non mi piace arruffianarmi ai presidenti, non mi piace sfogarmi sui social, non mi piacciono mitomani ed effetti speciali, mi piacciono i fatti, il lavoro e la realtà, e che a parlare alla fine sia il campo”.