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Parla Melchiorre Zarelli "Non c'è tutta questa violenza"

L'intervista integrale al presidente del CR Lazio in merito ai numeri della nostra inchiesta Essere Arbitro

23 Aprile 2018

Melchiorre Zarelli

Melchiorre Zarelli

Quella che leggerete in queste colonne è solo una parte del lungo confronto avuto con il Presidente del Cr Lazio Melchiorre Zarelli sull’inchiesta ‘Essere Arbitro’. Una chiacchierata schietta e diretta inerente la problematica della violenza sui campi, con distanze di vedute e punti di incontro, come quello di un nostro coinvolgimento nella realizzazione di riunioni tra Federazione, CRA Lazio e club di Prima e Seconda Categoria. Ecco a voi il pensiero del numero uno del calcio laziale sulla denuncia della nostra redazione.
Melchiorre Zarelli

Presidente, partiamo subito dal caso Roma VIII – Giardinetti: tre arbitri picchiati dentro lo spogliatoio, è stata rivista la sentenza.

“C’è stato un dibattito ed è stato deciso di ridimensionare la pena”.

Lascia perplessi.

“Leggeremo le motivazioni che usciranno la prossima settimana. Hanno valutato che l’arbitro sapeva del cancello aperto, aveva detto di chiuderlo ma poi ha ripreso la partita. Avrebbe dovuto essere più accorto chiedendo di presidiare”.

Cosa intende?

“Per fortuna non sono successe cose gravi, ma avrebbe potuto evitare tutto questo. Non bisognerebbe mai fare ricorso alla violenza, aborro quella fisica e morale. Anche le offese possono ferire un arbitro, ma devono far rispettare le norme”.

Da ex arbitro e Presidente del Cr Lazio qual è il suo consiglio?

“Prima di tutto reclutare arbitri con qualche anno in più, ci sarebbero meno contestazioni, a 16 anni per me sono bambini e bambine. Inoltre dovremmo coinvolgere, sia noi che le società, quei calciatori che a 17, 18 anni prendono altre strade. A quell’età, con un periodo precedente come calciatore, si partirebbe da un’ottima base. Basti pensare a Palanca che giocava nel Tor di Quinto. Duole dirlo, ma il problema arbitrale è anche numerico”.

Sono pochi?

“Pochissimi in confronto alle gare, a volte devono inventarsi come coprire tutta l’attività. Allora serve maggior confronto tra club e arbitri e aumentare i limiti di età come avete proposto anche voi. Magari arriva un ragazzo a 30, 35 anni che ha qualità: chiaro che non ha prospettive di carriera, ma fino alla Promozione potrebbe essere utile, così come nei big match di Prima Categoria. In alcuni campionati a volte sale la tensione perché ci sono arbitraggi poco felici e chi arriva dopo trova un ambiente poco sereno”.

Le assicuro che è dura trovare ambienti sereni, anche nelle giovanili.

“Ringraziando Dio nella stragrande maggioranza dei casi si limitano a protestare e non a colpirli con calci, schiaffi o compiere quei gesti che fanno soffrire questi ragazzini”.
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A suo modo di vedere quindi nel calcio la violenza non sta degenerando?

“La violenza non sta degenerando, gli episodi sono abbastanza circoscritti, ci sono punti critici e noi qualche volta cerchiamo di inviare persone a vigilare su quei match, per quel che si può, perché come gli arbitri, anche i commissari devono essere rimborsati e non è semplice trovarne disponibili, Roma e Lazio ci portano via tantissimi elementi. È necessario lavorare tutti insieme: federazione, società, arbitri e stampa. E quando mi riferisco alla stampa non parlo solo di Gazzetta Regionale”.

Ha detto che serve maggior confronto tra club e arbitri. Riunioni Cr Lazio - CRA - Società: escluse quelle di Eccellenza e Promozione ne vengono organizzate altre?

“No”.

Perché?

“Perché le società non partecipano”

Se non sono mai state fatte come fa a dirlo?

“Abbiamo provato in passato, ma con scarso riscontro”.

Non sarebbe opportuno riprovare per giovanili, Prima e Seconda categoria?

“Nel settore giovanile le fanno tranquillamente, soprattutto nelle scuole calcio”.

Ma non con gli arbitri?

“No, con gli arbitri no. La federazione organizza riunioni con i tecnici per i comportamenti che devono essere osservati”.

Eccellenza e Promozione sono un po’ come la Serie A e la Serie B del calcio laziale, non accade un granché. Prima e Seconda categoria invece sembrano essere l’anello critico.

“Tenete presente che dovremmo organizzare riunioni in ogni zona, la Seconda Categoria è composta da dodici gironi”

Cosa ve lo proibisce?

“Il tempo a disposizione e soprattutto la risposta dei club. Sono anche disposto per una soddisfazione vostra e mia ad organizzare gli incontri per Prima e Seconda Categoria”.

La Seconda Categoria è la questione più spinosa?

“Sì, qui troviamo calciatori che scendono dalle categorie superiori per ragioni di età, che hanno 38, 40 anni, che si vanno a confrontare con arbitri di 17, 18 anni non in grado per dirigere quelle gare”

Seconda Categoria, stagione 2015/2016. C’è un caso abbastanza particolare, di una squadra che nel girone di ritorno ha vinto cinque gare a tavolino perché gli avversari non si sono presentati: le dice nulla?

“No, ma se mi aiuta mi ricordo”.
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Non sa nulla di cinque club che non si sono presentati per paura della propria incolumità?

“Ora ricordo, le ho convocate e solo una poi non si è presentata”.

Ricorda male, non si sono presentate in cinque. Sullo stesso campo in Prima Categoria, la scorsa stagione, una formazione a fine primo tempo ha preferito non tornare in campo: anche in questo caso non era necessario intervenire?

“Certo, quando ci mettono in condizioni di intervenire”.

Può spiegare meglio?

“Che chi aveva arbitrato i match di andata di quei club avrebbe dovuto essere più esaustivo nel referto, mettendoci in mano gli strumenti per prendere provvedimenti e permettondoci di evitare quanto accaduto poi”.

Ma le società avevano segnalato con preavviso questa criticità.

“Le società sono venute qui perché le ho convocate io. Quando non riusciamo ad essere presenti, o arbitro e commissario refertano ogni cosa, oppure non abbiamo gli strumenti necessari”.

La Federazione quindi non può fare nulla?

“Non è che uno si sveglia e può dire che non va a giocare contro quel club”.

Nonostante le denunce di danni alle strutture e minacce alle persone una squadra ha vinto il campionato ottenendo 15 punti senza giocare.

“Nessuno ci aveva raccontato cosa era successo all’andata, al contrario avrei segnalato alla procura, che si sarebbe accertata di prendere i giusti provvedimenti”.

Non ha pensato fosse opportuno verificare con i suoi stessi occhi?

“Ho provato a rassicurarli, ho garantito che avrei mandato osservatori e commissari di campo”.

Cosa garantiscono queste figure? Il rischio per un club non è lo stesso?

“No signore”.

Potrebbero fermare un aggressione di un gruppo di violenti?

“Sono discorsi inutili, perché io non posso prendere provvedimenti. Uno viene nel mio ufficio e denuncia di essere stato minacciato: chi me lo dice che la minaccia è vera e non si tratta di una scusa per non andare a giocare?”.

E a quale pro non disputare una partita di calcio dopo aver pagato un’iscrizione per giocare a calcio?

“Questo lo deve chiedere a loro”.

Ripete questo concetto che la società è colma di violenza e che questa si riflette inevitabilmente sul mondo del calcio, che finisce per subirla.

“Anche sulla scuola”.

Lei quindi non sostiene la visione dei più grandi pensatori, che affermano come lo sport sia uno straordinario strumento per avere una società migliore?

“Non ho detto che siamo vittime, poi c’è da sottolineare come certi comportamenti anomali si verifichino solo negli sport di squadra. Quando c’è l’impegno del singolo e non c’è contatto fisico la violenza è molto limitata”.

Quindi lo sport di squadra non è veicolo per migliorare la società.

“Dovrebbe esserlo”.

Ma non lo è...

“Non per colpa dello sport, ma di quelle persone che dovrebbero apprezzarlo, capire cos’è. Non parlo solo di calcio, dove c’è un’attenzione maggiore, anche nel basket ho visto comportamenti da censurare”.

Nelle giovanili? Perché noi abbiamo assistito e abbiamo trovato un clima stupendo.

“No, solo prime squadre”.

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E nel calcio non si può aspirare a questa dimensione di civiltà? Almeno nelle giovanili?

“Già esistono realtà virtuose dove c’è dialogo, dove vengono coinvolte associazioni della zona, i genitori. Realtà nel Viterbese, a Latina e nella Capitale”.

Giriamo intorno senza arrivare al dunque. Afferma che sui campi di calcio non ci sia la violenza che sosteniamo noi, dice però che la società è violenta e questa violenza sfocia ovunque, anche nel calcio. Però il calcio non è allo stato attuale un veicolo idoneo ad aiutare la società. Siamo fregati, ci aiuti a comprendere.

“Anche nel calcio, rispetto al passato, tutto sommato ci sono criticità, ma non sono così eccessive da poter dire 'signori chiudiamo tutta la baracca e andiamocene a casa'. Il calcio nel suo piccolo cerca di fare qualcosa, molti ci provano e lo dimostra quanto tengono al premio disciplina, ma non tutte le società hanno i mezzi e la sensibilità per portare avanti questo tipo di discorsi”.

Quindi la colpa è di alcuni club.

“C’è la problematica di alcuni club”.

Una volta la colpa è degli arbitri, una volta dei club: il Comitato ne esce sempre pulito. Lei ha davanti un giornale che da quattro anni dice che la violenza cresce: come commenta l’inchiesta ‘Essere Arbitro’ che è in netta contraddizione con quello che dice lei?

“Che tutta questa violenza di cui voi parlate... Le aggressioni verbali le avrei catalogate a parte”.

Le ribadiamo che le verbali sono state catalogate a parte.

“Ma un calcio nel sedere all’arbitro che non fa male... Lo condanno e non si deve fare, per Federazione e AIA è un comportamento scorretto che viene sanzionato, ma che non viene catalogato in una categoria di gravità tale da far scattare un campanello d’allarme”.

Se per strada le danno un calcio nel sedere come si comporta?

“Prendo provvedimenti, vado da un avvocato”.

Presidente le leggiamo alcuni stralci di comunicato, ci dica se per lei è violenza oppure no: avvicinava l’arbitro, lo prendeva per il collo e lo minacciava di morte.

“È violenza”.

Veniva minacciato di morte e ricoperto di spunti che lo attingevano in varie parti del corpo.

“Violenza anche questa”.

Viene accerchiato a fine partita, la macchina viene presa a calci e il borsone viene lanciato in un dirupo.

“Assolutamente violenza”.

Perché il calcio nel sedere no allora, come lo possiamo interpretare: un gesto goliardico, virile?

“Potrebbe essere interpretato come gesto goliardico”.

Ma non è una visione anacronistica?

“Certo il calcio deve essere leggero, non deve far male”.

Del tipo: 'Ma levate, a scemo'

“Sì esatto, questo potrebbe essere il senso”.

Nel 2018? Non pensa che nel 2018 questo gesto vada condannato in ogni modo?

“Certo, viene punito”.

L’arbitro è il garante della giustizia in campo: un po’ come il poliziotto per strada, con le dovute differenze. Se un Presidente di un Comitato Regionale afferma che un calcio nel sedere goliardico non è grave, come può lo sport diventare un veicolo per migliorare la società?

“Non sto dicendo che lo giustifico, ma se è quasi una carezza con il calcio per dire 'ma levate...'”.

Non va sanzionato gravemente?

“Quello dipende dal giudice, non lo decido io”.
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Presidente, se computassimo anche quelli che ha considerato lei, gli atti di violenza sarebbero 247, 428 le aggressioni verbali, 985 le ingiurie e gli insulti, 1050 circa le proteste secche.

“Ne prendiamo atto”.

Perché la nostra testata ha denunciato dati di assoluta rilevanza e lei martedì mattina mi ha chiamato innervosito?

“Non innervosito, preoccupato”.

Ma perché screditare e sminuire questa inchiesta?

“Non l’ho sminuita, ho detto soltanto la mia impressione: il titolo in prima pagina mi è sembrato esagerato”.

Cosa avremmo dovuto fare?

“Essere più accorti”.

Eppure dal movimento arbitrale abbiamo avuto tanti attestati di stima.

“Mi riferivo ai genitori, non ai ragazzi”.

C’è il padre di un arbitro che ha tenuto a ringraziarci, confidandoci che il nostro giornale rappresenta una tutela per suo figlio.

“È una cosa che penso e non me lo rimangio. Secondo me un titolo del genere in prima pagina impressiona un genitore che al figlio dirà: vuoi fare l’arbitro e dove vai, in mezzo ai banditi?”.

Ma in alcuni casi i referti parlano di gesti da banditi.

“Non penso che i dirigenti delle nostre società siano banditi, è gente appassionata”.

E chi lo ha detto? Neanche noi lo pensiamo e da sempre siamo al fianco dei club e dei ragazzi, soprattutto quando si parla di legalità. Una curiosità: a quante gare, escluse le finali, assiste in una stagione?

“Solo alle finali, per principio. Se andassi e dovessi notare qualcosa di anomalo, magari un errore grave dell’arbitro, dovrei prendere provvedimenti e segnalare a chi di dovere”.

Anche nel caso in cui trovasse un pubblico infervorato potrebbe fare qualcosa.

“Certo”.

Allora perché non va sui campi?

“Perché non vado”.

E come fa ad avere un termometro personale di quello che succede?

“Il termometro sono gli addetti ai lavori, le società, gli appassionati”.

Anche noi siamo appassionati.

“Certamente, ma siete anche giornalisti e fate il vostro lavoro”.

Il lavoro che lei vede non ci viene richiesto, è un impegno che offriamo alla collettività per far sì che lo sport sia il veicolo per una società migliore. Lei ci avrebbe dovuto fare i complimenti.

“Ma nossignore. La mia preoccupazione si è palesata esclusivamente per il titolo in prima pagina. Magari nessuno legge gli articoli, poteva essere indicata o raccontata in maniera diversa. Per me le aggressioni, come le intendo io, non sono 206”.

Ne prendiamo atto

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