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L'intervista
12 Marzo 2019
Gabriele Ziantoni e Diego Cavaliere
L’Australia non esiste. Questo è uno degli assiomi basilari dei terrapiattisti. Il pianeta non avrebbe la forma di una sfera e al Polo Nord, addirittura, ci sarebbe un esercito schierato il cui compito preciso sarebbe quello di impedire alla gente di precipitare nel vuoto. A sentire i terrapiattisti, gli aerei seguirebbero traiettorie dritte, uscendo da un lato del pianeta per rientrare dall’altro, come si fosse in un videogioco. “Effetto pacman” lo chiamano. Chissà se anche il volo che ha portato Matteo Federici in Australia ha effettuato lo stesso percorso: “Non so se questa nazione esista o meno – se la ride il bomber – fatto sta che è la seconda volta che ci torno. E l’aereo atterra sempre”. Una vita per i campi del Lazio e non solo. Poi la chiamata dalla “terra dei canguri”: le valigie, le speranze, i sogni, la distanza. Federici arriva agli Sturt Lions (formazione di Adelaide) lo scorso anno, a nove gare dal termine. Ne gioca otto segnando altrettanti gol. Ovvia la nuova telefonata e il rinnovo di contratto: “Mi hanno spiegato che quello che ho fatto nella passata stagione, non è così frequente. Ho avuto molto mercato. Per fortuna è ricominciata benissimo anche in questo campionato: due partite e due reti”. Ma come si vive in Australia? “Meravigliosamente. E’ la terra delle opportunità: qui non importa la nazionalità, se hai un’idea la puoi realizzare. Dal lavoro più umile a quello più impegnativo”. E la quotidianità? “La mentalità è anglosassone: sono stati colonia per secoli. Dal lunedì al venerdì si pensa solo al lavoro. Il weekend, invece, è incredibile: non ho mai visto qualcuno bere tanto”. Non Matteo Federici, chiaramente. Il sabato si gioca e bisogna essere pronti e preparati.
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