L'intervista

La battaglia di Liberti: "Non mollo di un centimetro"

Nel 2015 ha lanciato la campagna "Io non porto lo sponsor" per combattere chi chiede soldi agli allenatori. L'ex Matera, intanto, si consola con l'Aprilia e la sua Scuola Calcio

La nostra società è in un momento di profonda crisi. E la cosa più complicata da digerire è che non se ne riescono ad individuare le cause. Di chi sono le responsabilità di questo momento di profondo vuoto umano e di valori? Della politica? Dell’istruzione? Dei Social? Difficile dare una risposta. Fatto sta che da qualche tempo a questa parte, sono più le cose che non vanno che quelle che realmente seguono il percorso giusto.


Prendiamo come esempio il lavoro e in particolare la professione del giornalista. Ancora più specificatamente del giornalista sportivo. Un’occupazione a metà tra la passione e la “fatica”. Sapete quante volte ci siamo sentiti ripetere: “Vai a lavorà pe davero…”? Come se aver saputo indirizzare le proprie attitudini in un qualcosa di economicamente remunerativo fosse una colpa invece che un merito. Triste la vita del “creativo”: con la scusa della passione, c’è gente che ti propone di lavorare gratis. E pensate: c’è anche chi accetta. Per vedere la propria firma sotto un articolo, il proprio volto in Tv o ascoltare la propria voce in radio, si è disposti a fare di tutto. Anche a non vedere il becco di un quattrino.


La verità è che il lavoro altro non è che un vendere il nostro tempo. Così come quando, ad esempio, pagando una collaboratrice domestica decidiamo di acquistare il nostro relax. Pensateci. Personalmente detesto chi non si fa pagare. E me la prendo più con gli editori che con chi accetta questo tipo di compromesso. Aprire le porte a chi lavora gratis, significa abbassare irrimediabilmente il livello di qualità proposto. Oltre a costringere chi vuole fare di questo lavoro la propria vita, a imboccare altre strade. Magari maggiormente retribuite ma anche piuttosto frustranti.

Triste la vita del “creativo”. Eppure c’è chi subisce un’esistenza peggiore: gli allenatori. Sì, lo sappiamo, li conosciamo a memoria tutti i luoghi comuni sui tecnici: “Il mister è un uomo solo/Il mister è sempre l’unico a pagare/Il mister è il primo dei colpevoli”. Non bastava tutto questo. Da qualche tempo a questa parte (anni a dire il vero), c’è anche chi chiede i soldi per assegnare una panchina. E non ci riferiamo a società di provincia, magari anche in difficoltà economiche. Parliamo di club importanti, iscritti a campionati professionistici e quasi. E il fenomeno sta dilagando


Un mese fa Paolo Negro, ex calciatore della Lazio e della Nazionale, aveva utilizzato il volano delle nostre colonne per denunciare questa vergogna. Esiste, però, qualcuno che lo ha fatto prima di lui. Affidandosi solo ai propri canali social e mostrando un semplice cartello: “Io non porto lo sponsor”. Parliamo di Fabrizio Liberti, ex difensore di Matera e Avellino, ora nello staff tecnico dell’Aprilia insieme a Pino Selvaggio.


“L’idea mi venne in campeggio – spiega il mister – era l’estate del 2015 ed ero in vacanza con i miei figli. Avevo appena terminato un colloquio con una società molto importante. Dopo aver trovato l’accordo su come gestire la squadra, la dirigenza mi disse che se avessi portato degli sponsor, loro ne sarebbero stati felici. Mi alzai disgustato. Riuscii solo a dire: “Se le cose vanno male, cosa faccio mi esonero da solo?” Così è facile fare calcio: i soldi li portano i tecnici, i genitori pagano per veder giocare i figli. A questo punto faccio il presidente”.


Per fortuna, invece, Fabrizio continua ad allenare. All’Aprilia come già detto (“due partite e due vittorie, mi sto divertendo tanto”) e poi nella sua Scuola Calcio: l’Accademia Calcio Fabrizio Liberti. “Vogliamo solo far tornare il sorriso sulla bocca dei bambini. Da noi vengono piccoli traumatizzati: nelle loro società di riferimento non possono accennare doppi passi o provare tunnel. I tecnici che li seguono vogliono subito insegnargli la tattica. Che follia!”. Il futuro del calcio italiano può ripartire da “idee” come questa? “Lo spero. Ma la qualità va pagata. Ora è di moda lo scegliere laureati in scienze motorie che però non hanno mai calcato un campo di calcio. Puoi conoscere tutta la teoria che vuoi ma ai bambini devi far vedere il gesto tecnico, trasmettergli quello che hai appreso nello spogliatoio”. E dove si trova questa Accademia? “Siamo ospiti dell’Olgiata 20.12 Sport Club. Abbiamo ottenuto la loro fiducia: prima non volevano nemmeno sentir parlare di calcio. I bambini, invece, sono stupendi. Esemplari”.


Il ritorno in panchina all’Aprilia rappresenta un piccolo successo ma la soluzione al problema appare lontana. Liberti ha appelli da lanciare? “Sono l’ultimo che può farlo. Ma bisogna mandare più controlli nelle Scuole Calcio. Il futuro sono i bambini: i loro occhi, così belli, non bisogna deluderli”.

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