l'inchiesta

Tecnici con lo sponsor: sono loro gli unici colpevoli?

Tra presidenti costretti ad accettare e fondi mancanti, scopriamo come il sistema favorisce questo fenomeno

La questione è annosa. Da tempo immemore ormai si discute, si critica, si attacca. Ci si indigna. Tutti prendono le distanze perché “si fa male al calcio”. In passato si è addirittura provato a dar vita a un movimento che potesse arginare il fenomeno. A volte ci sono azioni che si radicano così tanto nel sistema, che alla fine ne diventano parte integrante. Sembra diventato inutile denunciare o anche solo parlarne, perché non aiuterà a cambiare l’imperturbabile sostanza. L’allenatore con la valigietta, detto con toni intenzionalmente volgari. L’allenatore che è disposto a corrispondere alla società sportiva una somma di denaro (per lo più in forma di sponsorizzazione), pur di sedersi sulla panchina. La potremmo definire una consuetudine del nostro calcio, non solo nel senso di ripetizione costante di un comportamento, ma probabilmente anche nel significato giuridico del termine. La consuetudine è nella giurisprudenza una fonte del diritto, la fonte non scritta per antonomasia. Da una parte c’è quella prettamente materiale, ossia il reiterare un gesto, dall’altra quella soggettiva, che consiste nel credere che si tratti di qualcosa socialmente e giuridicamente obbligatorio. Nel pallone vive la prima, ma con il tempo, consolidandosi, potrebbe addirittura arrivare a diventare regola. Senza perderci ulteriormente nella disamina, torniamo al nostro ragionamento per spiegare che ormai il tecnico che porta lo sponsor è una pratica cementata nello sport più amato dagli italiani. Va così e se non si interverrà direttamente con indagini e sanzioni, magari a breve diventerà norma. Sfido chiunque d’altronde a sollevare la questione con nomi e cognomi degli attori di queste storie. In mancanza di prove concrete, che noi per esempio non abbiamo mai avuto, portare le vicende alla luce del sole comporterebbe una querela con ottime possibilità di pagare un conto salato. Eppure sembra che tutti sappiano chi sono questi allenatori, nelle telefonate a microfoni spenti tante volte ho sentito i loro nomi, a volte anche la categoria alla quale ambiscono e le cifre che sono disposti a riconoscere ai club. Ma nessuno di loro riconosce di ricorrere a questa pratica, anzi nessuno lo ha mai fatto. Ci sono state occasioni imbarazzanti, penso soprattutto alle discussioni social su questo argomento. Addirittura quelli che venivano additati come allenatori con la valigietta entravano nel merito per manifestare tutto il loro disappunto per questa sgradevole vicenda, condannando chi si macchia di questa vergogna. Vorrei inserire l’emoticon con la faccina sbalordita, quella con gli occhi sgranati e la bocca aperta... Non è solo una questione di omertà, dentro ci sono rapporti personali: molti mister si conoscono tra loro e in alcuni casi sono amici, perché un tecnico che “investe” per guidare una squadra non deve mica per forza essere antipatico o odiato per quel che fa. Se da un parte si evita per non avere ripercussioni legali, dall’altra può entrare in ballo una relazione d’affetto o il rischio di schierarsi contro il sistema e farsi terra bruciata intorno. Fatto sta che abbiamo deciso di affrontare nuovamente l’argomento, provando stavolta a usare un punto di vista differente, inusuale. Proviamo per una volta a fare il gioco dell’immedesimazione, proviamo a metterci al loro posto prima di tirare conclusioni.


Nei panni del tecnico sponsor Vestiamoci prima da allenatori che dispongono di un’azienda o di fondi da poter investire per esercitare la loro amata professione. Prendiamo l’esempio peggiore, il tecnico che di calcio non capisce assolutamente nulla, quello che non è un genio della tattica nato (tipo Arrigo Sacchi per intenderci, che come vuole la leggenda parlava di schemi già da giovincello nei bar di Fusignano). Mettiamo che sia anche uno che non ha mai praticato questo sport, quindi non conosce le dinamiche più intime del pallone, quelle che capisci solo quando hai calcato il terreno di gioco. Prendiamo questo allenatore scarsissimo, magari ne è anche consapevole, e mettiamo che lui vuole a tutti i costi allenare. Il sogno di poter essere il condottiero di una squadra, un sogno che accomuna tantissimi italiani... Chi d’altronde, amante di questo sport, non vorrebbe essere il leader di uno spogliatoio? Non solo ci piacerebbe eccome, ma se ci pensate davvero bene, se davvero riuscite per un attimo ad immaginarvi alla guida di un club, la domenica in panchina a impartire indicazioni, probabilmente sentirete anche quel pizzico di presunzione che vi porta a pensare seriamente di poter far meglio di tanti tecnici veri. Torniamo al nostro allenatore scarsissimo però, quello che è carico a pallettoni e ci crede di brutto. È un uomo pronto a spendere denaro pur di avere la sua occasione. Non comprende come possa fare male al calcio, anzi. Mi chiedo e vi chiedo. È forse il nostro allenatore scarsissimo il problema? Di cosa è colpevole? È lui che fa un danno al calcio? Sicuramente è uno che paga, un po’ come pagano i genitori di quei ragazzi che non hanno proprio i mezzi tecnici ma alla fine sono tesserati con società professionistiche... In realtà sembra che tutti paghino, anche madri e padri dei ragazzi dei settori giovanili dilettantistici, pagano le quote. I tecnici che percepiscono rimborsi da un paio di centinaia di euro al mese alla fine ci rientrano? Boh, non l’ho mai capito, anche se ho dubbi. Alla fine, se non direttamente alla società, in qualche modo pagano anche loro tra benzina e organizzazione della vita. Cioè dei soldi escono. I dirigenti che lo fanno per pura passione e stanno lì sui campi gratis, pagano. Per non parlare dei presidenti, che tolti i furbetti o chi addirittura fa delle ASD e delle SSD un mezzo per riciclare denaro, pagano eccome.


Il ruolo dei Presidenti Prendiamo il massimo esponente che trova l’accordo per la guida tecnica in cambio di una sponsorizzazione in favore della sua società. Qui potremmo anche dipingere il peggio, faccio l’esempio di chi maschera dietro la gestione di un club attività illecite, come riciclaggio di proventi dal mondo della droga. Si capisce subito e bene che in questo caso il problema non è certo il mister che allena perché porta denaro. Tolto chi delinque, restano i furbetti e quelli che cacciano per mandare avanti la baracca dal valore sociale straordinario. Ovvio che il presidente che si intasca la pecunia e se ne frega di chi guiderà i suoi ragazzi è da condannare, ma non nel senso che non va bene, dovrebbe proprio essergli vietata la possibilità di agire così con la radiazione dal mondo dello sport. In questo caso però mi piace pensare al presidente buono, quello che si impegna per i ragazzi e si fa il mazzo per permettere alla struttura di esistere e di essere un punto di riferimento per i giovani del territorio. Tra bollette, iscrizioni, tasse e pendenze di ogni genere, arriva a fine stagione con il rischio di doverci mettere qualche soldino di tasca propria se gli va bene. Se avessi ricevuto un euro per tutte le volte che ho sentito questa storia nei quindici anni della mia attività, avrei un bel gruzzoletto. Il brutto è che a volte è vera. Siamo nel post lockdown, fortunato chi si sta già proiettando oltre, ma è doveroso ricordare a tutti che questo momento storico è un inferno, nonostante tanti italiani stiano affrontando con grande dignità una situazione economica sciagurata. Una situazione che potrebbe peggiorare ulteriormente e portare tantissime persone alla soglia della povertà. Riprendiamo il nostro presidente buono e bravo e proviamo per un attimo a immedesimarci in lui. Impianto chiuso da mesi, persone che legittimamente ti chiedono il rimborso per l’attività che i figli non hanno svolto, pagamenti di canoni e conti vari da saldare che a breve ripartiranno dopo la sospensione. C’è anche chi ha le rate del mutuo magari per aver rifatto il campo. Sono stati stanziati diversi fondi in favore dei club per arginare la problematica economica legata al coronavirus, ma a questi signori il denaro è arrivato? Mah... Dici: “Vabe’ con i centri estivi magari ti riprendi, poi a breve riparte lo sport di contatto, ti affitti i campi...” Abbiamo capito dopo settimane di attese e diversi giorni di discussione che lo sport di contatto non si può fare perché il problema è che non si potrebbe rispettare il distanziamento sociale. Seriamente? Cioè davvero ci sono state dirette social, conferenze, slittamenti di date eccetera, per poi spiegare che la criticità è quella della distanza? Prima non lo avevano valutato? A ogni modo per adesso niente affitto dei campi, restano i centri estivi. Da capire però resta quanti sono disposti a portare i loro figli, come si possono ricavare due soldini per favorire la prossima ripartenza di tutta l’attività tenendo conto delle misure anti Covid da attuare, del personale da rimborsare, dei costi aumentati tra gel igienizzante e mascherine e dei rischi che si corrono, tra responsabilità e potenziale sputtanamento in caso di contagio. In questo quadro, il presidente buono e bravo che accetta il contributo dell’allenatore di diverse migliaia di euro, è il colpevole? A fronte dello sforzo per tenere viva un’attività di rilevanza sociale, quella che toglie i giovani dalla strada, dalla droga, dall’alcool, dal gioco d’azzardo, dalla delinquenza. Esattamente quale sarebbe la sua colpa? Quella di rovinare il calcio uccidendo la meritocrazia? Cosa vale di più? Il presidente potrebbe farne conto come un aiuto per mandare avanti il club... Personalmente non me la sentirei di puntare il dito contro di lui, non so voi.


Conclusioni Noi il dito lo abbiamo puntato, contro noi stessi intesi come italiani. Abbiamo analizzato in uno speciale dal titolo “Dilettanti: tanto grandi quanto soli” pubblicato due settimane fa, la situazione del calcio minore in Italia. Autofinaziamento è la parola d’ordine per società sportive e istituzioni di riferimento (Comitati Regionali e Lega Nazionale Dilettanti). A questo mondo di oltre un milione di persone, contando solo ed esclusivamente gli atleti praticanti, viene destinato poco più di un milione di euro l’anno, quel famosissimo 1% provenienti dai diritti televisivi. Parliamo dello sport signori. Uno dei valori più alti della società moderna. Per la salvezza dei giovani, per l’educazione e il rispetto, per imparare a stare insieme, per la coltivazione della miriade di talenti che popolano questa piccola terra e che ci rendono famosi in tutto il mondo ogni volta che alzano al cielo una coppa o vengono premiati con una medaglia. Abbiamo pensato di andare a scoprire in giro per l’europa cosa succede ai movimenti dilettantistici e alla prima pubblicazione abbiamo riportato i dati della Francia, che investe 100 milioni di euro tondi in un anno sul calcio non professionistico. Lo ha ribadito anche un grande ex atleta come Renica. Davvero tutto deve poggiare sulle spalle di chi lo fa per passione? Non sarebbe giusto, stabilendo dei parametri anche stringenti da rispettare, sostenere le associazioni che oggi permettono di svolgere attività fisica a tutti noi? Ma perché nel resto del mondo fanno di tutto per far crescere la pratica sportiva, dalla scuola all’associazionismo, mentre noi inspiegabilmente ce ne fottiamo? Questa analisi ci porta a ribadire ciò che da tanto tempo promuoviamo: il calcio dilettantistico e tutte le realtà che lo compongono hanno bisogno di sostegno vero, sistemico, costante. Perché alla fine finché c’è qualcuno che paga per far girare la giostra, andrà sempre tutto bene. Il dramma è quando il denaro proviene dal mondo dell’illegalità oppure, semplicemente, finisce.

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