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L'intervista
Lo storico giocatore uscito dalla cantera del Tor Di Quinto continua ad incantare tutti, adesso in quel di Monterotondo
22 Novembre 2023
Stefano Napoleoni (Foto ©Quartapelle)
Una carriera passata a conoscere culture e tradizioni dell'interto continente, rimanendo attratto dal fascino di altri Paesi, ma al contempo incantando tutti grazie alla sua classe. Di Stefano Napoleoni ne abbiamo parlato in lungo ed in largo negli ultimi anni, dalla crescita nel settore del Tor Di Quinto alle presenze in Champions ed Europa League. Uno di quelli che è arrivato, ma anche tornato, nelle vesti di veterano in Serie D, e dopo un anno al Roma City, sta facendo valere le sue squisite qualità anche alla corte del Real Monterotondo.
Caro Stefano, si può dire ufficiale che siate ripartiti! Dopo quattro sconfitte non era facile, ma gli ultimi due successi testimoniano una forza dentro di voi che ha fatto la differenza nel rialzarsi.
"Beh devo dire di sì. I risultati portano positività, e la vittoria sul campo della Tivoli sicuramente ci ha permesso di giocare contro il Notaresco anche con maggiore libertà, senza sentire troppo la pressione. A onor del vero neanche la sorte ci aveva aiutato troppo nei ko precedenti, qualche episodio sfortunato, che però bisogna accettare. L'aspetto sicuramente più positivo è stata la risposta del gruppo, rimasto coeso, e questo è l'importante, perché le squadre si vedono nelle difficoltà".
Adesso sarà fondamentale non fermarsi qui, e domenica c'è una partita importante. Sora è un campo sempre ostico, come affronterete la gara?
"In un girone del genere nessuna sfida è semplice, giornata dopo giornata. Sappiamo delle insidie potenziali al Tomei, ma non dobbiamo arrivarci timorosi, provando ad uscire con un risultato utile. Sarebbe importante al fine di dare continuità, l'ingrediente chiave per raggiungere ottimi traguardi".
Dopo aver conosciuto tanti campionati nella tua carriera, l'anno scorso sei tornato qui in Italia, in Serie D. Come l'hai trovato il livello? E soprattutto cosa ne pensi degli under in squadra, per i quali puoi essere un mentore?
"Posso dire sinceramente di esser stato sorpreso dalla categoria, veramente in positivo. Soprattutto per quanto riguarda gli allenatori. Ho visto tanti tecnici bravi, giovani, che insegnano i valori del gioco e soprattutto il modo in cui si può crescere, non fermandosi solo al risultato. Questo è fondamentale, ed è quello che cerco di trasmettere ai ragazzi con cui sto in squadra. Sono un po' rompiscatole, ma lo faccio per fargli capire tante cose, soprattutto la la mentalità, ripartendo proprio da quei consigli che davano a me quando avevo la loro età. In primis l'importanza del lavoro in settimana, che ti permette di costruire a dovere la tua performance la domenica e non viceversa. Qui abbiamo tanti giovani interessanti - Riosa, Cantiani, Compagnone, Primasso e così via - ed è giusto che sfruttino il loro talento. Non bisogna sognare in poccolo, visto che ci sono svariati esempi di chi è arrivato passando da queste categorie. Basti pensare a Gatti, oppure a Valeri che stava con la Cremonese. Il traguardo lo si può raggiungere, ma solo grazie ad impegno e dedizione".
A proposito di talento e tecnica da sviluppare: come mai la nostra Nazionale è in un momento così complesso? Forse il tutto è riconducibile alla ricerca estrema del risultato più che della crescita del giocatore?
"Siamo molto in difficoltà, sotto tutti i punti di vista, anche se le motivazioni di ciò cominciano a palesarsi. Quando tu vedi bambini o ragazzi che hanno appena iniziato a giocare, toccare appena dieci volte il pallone in un allenamento, allora le cose non stanno girando a dovere. Si cerca subito di far completare lo sviluppo soprattutto fisico del calciatore, senza approfondire quegli aspetti tecnici cruciali nel progresso di una squadra. Se ti muovi così, poi gli effetti si manifestano sul nostro movimento, e lunedì contro l'Ucraina molti nodi son venuti al pettine"
Da dove provengono secondo le maggiori responsabilità di questa involuzione?
"Il discorso è molto ampio, ma come dicevo prima, allenamenti di questo tipo non danno una mano. Bisognerebbe far capire come il risultato non è la priorità in certi casi, visto che si vanno a scartare dei giocatori che magari hanno necessità del giusto tempo per sbocciare come fiori. Vedo anche che ci si diverte molto di meno a giocare a pallone, spesso la cosa è indotta e così si rischia di crollare"
Ormai è un dato di fatto. L'evoluzione del calcio ha portato all'eliminazione quasi totale di quello che un tempo era il "fantasista", il ruolo che ti contraddistingue. Dal tuo punto di vista chi in questa generazione riesce ancora a farsi notare?
"I tempi cambiano, e ad oggi il numero 10 non c'è più. Non si può negare il nuovo corso, adesso è consolidato e penso si proseguirà su questa linea. L'unico che ancora mi fa divertire è sempre Lionel Messi, a lui sarò legato a vita".
Per chiudere Stefano: se potessi riavvolgere il nastro, quale sarebbe l'highlight più emozionante della tua carriera, quello magari da rivivere anche subito?
"Oddio (ride ndr), adesso detta così è difficile, anche se probabilmente l'inizio fu la parte migliore. Passare da Roma, dal Tor Di Quinto alla Polonia all'età di 19 anni poteva esser complicato, ma l'esordio fu un'emozione indescrivibile. Bagnare il debutto con un gol così bello fu tutto per me, là capii di essere arrivato".
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