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l'intervista
17 Maggio 2016
Emiliano Adinolfi, ex tecnico del Morolo © Facebook
Tre anni. Tanto è durata l’esperienza di Emiliano Adinolfi sulla panchina del Morolo. Azzardiamo l’uso del tempo passato dando per certa la separazione anche se, a rigor di contratto, il tecnico ceccanese non sarà più alla guida del club biancorosso solo a partire dal prossimo 30 giugno. Una decisione che porta con sé tanti spunti di riflessione e che ci permette di andare oltre la notizia, essenziale ed esclusiva, per raccontare l’uomo, dentro e fuori dal campo. Un ritratto a tutto tondo che diventa riflesso di un’aspirazione, che paradossalmente è la stessa del nostro calcio regionale, quella cioè di migliorarsi anno dopo anno. Un sogno costretto spesso a fare i conti con limiti, per certi versi giganti, ma a cui l’amore e la passione per questo sport possono trovare rimedio. “Lascio per mettermi alla prova, perché, nonostante gli ottimi risultati conseguiti fin qui, non ci sono ad oggi le premesse e le risorse per fare di più rispetto a quanto non sia già stato fatto”. Un addio consensuale e legato alla necessità e soprattutto alla voglia di affrontare nuove sfide, con l’esperienza di chi vanta a soli 35 anni ben 170 panchine consecutive in Eccellenza, un campionato controverso, soggetto a tante variabili che, tra le tante controindicazioni del caso, ha l’abitudine, tutta nostrana, di mettere facilmente in discussione il ruolo dell’allenatore. Alla luce di queste futili e retoriche considerazioni, risulta sicuramente più facile spiegare i motivi di una separazione che forse in molti non avevano preventivato.
Le ragioni del suo addio sono chiare. Ha messo però in preventivo che “puntare più in alto” potrebbe significare anche stare lontano dal campo per qualche tempo? È un modo questo per chiederle se ha già ricevuto proposte o se è in contatto con altre società.
Proposte ufficiali non ne ho avute, ma sto alla finestra. Ho voglia di intraprendere un nuovo cammino, di confrontarmi con nuovi obiettivi, così come è stato a Morolo in questi anni. Il fatto che non ci siano né le risorse, né le premesse per ambire a posizioni di classificare più alte rispetto a quelle che finora siamo stati in grado di raggiungere mi spinge a lasciare. Se mi parla di contatti, le dico che spero che possa nascere a breve una collaborazione professionale con un importante settore giovanile della zona, ma per ora non c’è nulla di ufficiale. Non escludo di allenare comunque ancora in Eccellenza.
Nel frattempo ha altri progetti in ballo?
Mi sto dedicando alla realizzazione di un e-book sulle metodologie di allenamento, poi, qualora non dovessi ricevere o accettare alcun tipo di proposta , sono pronto a studiare ed aggiornarmi.
Le chiedo di fare un resoconto della sua esperienza a Morolo.
Sicuramente positiva, per quello che da zero siamo riusciti a mettere in piedi, per i giovani del nostro territorio che siamo riusciti a valorizzare, per le tre salvezze consecutive che abbiamo centrato.
Qual è stato il momento più difficile che ha vissuto da allenatore del club biancorosso?
Il primo anno è stato sicuramente il più difficile perché abbiamo composto la squadra in brevissimo tempo, non a caso in pochi credevano che ce l’avremmo fatta a non retrocedere. Il secondo, nonostante la salvezza raggiunta all’ultima giornata di campionato, è stato invece un anno di conferme, mentre quello appena concluso è stato particolare perché questioni che non ci riguardavano direttamente, come i fatti di Palestrina, ci hanno permesso di blindare la permanenza in Eccellenza molto prima di quanto non credessimo.
E il momento più bello?
Ricordo con piacere la vittoria dello scorso anno contro l’Albalonga di Gagliarducci. Vincere contro compagini del genere ripaga di tutto il lavoro.
Com’è stato il suo rapporto col Presidente Costantini?
Ho avuto il piacere di confrontarmi sia con Angelo che con Guido Costantini. Sono persone serissime e di parola. Abbiamo lavorato bene insieme, auguro loro di calcare quanto prima palcoscenici importanti e di continuare a farsi portavoce di un calcio sano e solido.
Qual è stato il calciatore più completo che ha allenato nella sua carriera?
Non me ne vogliano gli altri, ma senza alcun dubbio dico Alessio Carlini, un campione che ha quasi raggiunto la soglia dei 300 gol, di quelli che non ci si stupirebbe di vedere giocare in categorie superiori. Lo stimo sia professionalmente che umanamente, il fatto che sia di Ceccano come me non fa che accrescere la mia considerazione nei suoi confronti.
E l’under più promettente?
In questo caso devo farle 3 nomi: Piscopo, Panaccione e Pellino che si sono particolarmente distinti in quest’ultima stagione e che promettono bene per il futuro.
Alla fine di un percorso di solito ci si sente sempre in dovere di ringraziare qualcuno, lei per chi vuole spendere due parole?
Senza dubbio per il mio staff tecnico, per l’allenatore in seconda Norberto Di Pofi e per il preparatore dei portieri Simone Andrea.
Ricollegandoci ai motivi della sua separazione da Morolo, le chiedo quali società di Eccellenza rappresentano a suo modo di vedere un modello, in quanto a professionalità, logica manageriale e mentalità vincente, a cui ispirarsi?
Mi viene in mente per primo il Città di Ciampino, non perché abbia portato a termine e con merito in breve tempo un doppio salto di categoria, ma perché dispone di tutto ciò che serve per lavorare bene: non parlo solo di uno staff preparato, mi riferisco piuttosto a risorse economiche e strutture adeguate. Se penso al panorama ciociaro, quello che ho sotto gli occhi, sono poche le società per esempio a disporre di un campo sintetico. Si tratta di aspetti extracalcistici ma che influiscono sul raggiungimento dei risultati.
Dal momento che lei conosce bene il campionato d’Eccellenza, le chiedo di individuare, oltre agli aspetti che ha già delineato, quali sono i limiti che porta in dote tale competizione.
Voglio soffermarmi su un aspetto ben noto e molto dibattuto, mi riferisco ovviamente alla regola degli under. Sono convinto che non si possa fare una squadra con la carta d’identità. La regola vuole farci credere che serva a creare un ponte tra il settore giovanile e la prima squadra, ma i numeri ci dicono invece che sono pochi i giocatori che poi approdano nei campionati maggiori o che proseguono la carriera in Eccellenza. Un posto in squadra lo merita il giocatore che, a dispetto dell’età, disponga di qualità che mettano l’allenatore nelle condizioni di sceglierlo per il suo valore.
Per concludere vorrei chiederle cosa avrebbe fatto nella vita se non avesse intrapreso la carriera di allenatore e qual è il suo sogno nel cassetto.
Se non avessi fatto l’allenatore le garantisco che avrei avuto comunque a che fare con lo sport, ce l’ho nel sangue, mio padre infatti è stato un pugile professionista, anche i miei studi sono legati a questo mondo. Il mio sogno nel cassetto resta invece quello di continuare a fare quello che più amo, spero per questo di poter avere una possibilità e di arrivare un giorno nel calcio che conta.
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