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l'intervista

L'addio del Moro: "Non è più il mio calcio, l'Uni è speciale"

Dopo venti anni di carriera, Emanuele Morelli dice basta: "Mi sono divertito tanto. Campione non lo sono mai stato ma mi sono creato un film tutto mio. Ho vinto e perso, sono stato protagonista assoluto e capro espiatorio"

04 Giugno 2020

Emanuele Morelli (©Torrisi)

Emanuele Morelli (©Torrisi)

Emanuele Morelli (©Torrisi)

Bastava che entrasse in campo, anche solo per una manciata di minuti, e il pubblico sentiva che poteva succedere qualsiasi cosa. Una volta varcata la linea bianca che delimita il campo da gioco, ci metteva tutto, in qualsiasi momento, in qualsiasi condizione. Emanuele Morelli lascia il calcio giocato. Forse avrebbe potuto strappare ancora qualche anno di carriera, ma ha deciso così perché questo “non è più il mio calcio”. Un uomo di sport prima che un calciatore, un esempio di correttezza, di lealtà. Lascia dopo un cammino intenso, scandito da tantissime esperienze che lo hanno reso uno degli atleti più rispettati del nostro calcio. Ha girato l’Italia per poi arrivare qui da noi, nel Lazio, dove ha lasciato un segno indelebile lungo dieci stagioni.


Perché hai deciso di lasciare?

“Per il livello che c’è in Eccellenza, fossi stato gestito in un altro modo, mi sarei potuto divertire ancora. Una decisione maturata negli anni, non vedo più il calcio che mi apparteneva. Alcuni valori sono andati persi, oggi ci sono molti particolari che non mi piacciono. Sicuramente anche il cambio generazionale ha portato a un cambiamento, se penso a come ero io appena entrato in prima squadra, noto parecchie differenze con l’approccio che hanno i giovani di oggi”.


Oltre che come giocatore hai già operato anche come dirigente.

“Da atleta sono stato gestito in maniera particolare. Per la vicinanza che ho con il Presidente Valter Valle e conoscendo molte persone nell’ambiente, una delle prime da contattare per sapere come funzionava qui ero io. Devo dire che tante persone una volta arrivate in questo club sono cambiate rispetto a prima, nessuna polemica, ma semplici constatazioni. Non ho mai anteposto la mia persona al bene di questa società, sono arrivato a mettermi fuori rosa da solo quando il tecnico pensava che io fossi il problema”.


Come giudichi la tua carriera?

“Mi sono divertito tanto. E pensare che ho iniziato solo perché ero l’unico della mia classe che non giocava, mi sentivo un idiota (ride, ndr). Ho cominciato a 8 anni, non ero molto portato e rispetto agli altri ero in ritardo. Tra l’altro ho iniziato in porta perché non avevo voglia di correre, poi pian piano mi sono appassionato ed è cominciata la mia rincorsa verso il sogno, quello di arrivare in Serie A”.


Quando è cominciato il sogno?

“A 16 anni sono andato a giocare nell’Empoli, uno dei più importanti settori giovanili di Italia. A 19 anni ho fatto il salto in Serie C, ma non avevo le caratteristiche per diventare un giocatore vero, intendo un professionista che fa dello sport la sua vita. Anche io ho fatto del calcio il mio lavoro fino a qualche anno fa, sono riuscito a vivere di questo. A Campioni in un certo senso ho assaporato la Serie A, venivamo trattati come dei professionisti di primo livello. Ho girato l’Italia, ho conosciuto tantissime persone, mi sono divertito e non ho rimpianti, sono soddisfatto della mia carriera. Penso che questo era il mio destino, c’è chi dice “non sono arrivato perché...”. La verità è che si arriva dove si merita di arrivare”.


Cosa ti mancherà?

“Per la prima volta sono rimasto fermo e lo sto accettando. Per me ora è il momento di godermi mia moglie e i miei figli, a loro devo tutto, mi hanno supportato e sopportato in ogni momento. Rilasserò la mente e mi concentrerò sul futuro, che spero sia all’Unipomezia. Sono legato in maniera indissolubile a questo club, rimarrei anche solo come tifoso. C’è un concetto espresso da Mourinho che è perfetto per spiegare il mio legame con questi colori, non si sceglie una società per i soldi o per il progetto, si sceglie perché in quella società rivedi te stesso. Mi sono innamorato subito di questa squadra e non la cambierei per niente al mondo, il Presidente lo sa benissimo, firmai in bianco per venire qui”.


Morelli esulta dopo l'ennesimo gol

Hai un rapporto speciale con Valter Valle.

“Il feeling è stato immediato. Ho passato tanti anni al suo fianco, mi ha insegnato come si vive, come si lavora, è un secondo padre. Rifarei tutte le stesse scelte pur consapevole di aver sacrificato parte della mia carriera da giocatore, mettendo davanti l’interesse della società. Penso che sarei stato utile a tanti allenatori che sono passati all’Unipomezia, capisco però che per il mio ruolo era facile mettermi da parte, in fondo ero già un dirigente e non ho mai fatto nessuna polemica. Mi dispiace, perché penso si sia visto solo un Morelli al 60%, sarebbe bastato un pizzico in più e saremmo arrivati in Serie D”.


Perché non rinviare di un anno l’addio?

“Molti colleghi hanno posticipato per chiudere sul campo. Per me è diverso, quello che mi spinge in questa direzione è che sarò comunque felice di raggiungere quel traguardo, a prescindere se il Presidente vorrà inserirmi nei quadri societari o se resterò solo un tifoso. Spesso dico che uno dei miei più grandi rimpianti è non aver conosciuto Valter Valle qualche anno prima”.


Cosa sarebbe successo?

“Se ci fossimo incontrati all’apice della mia carriera lo avrei fatto godere tanto (sorride, ndr). Non sono mai stato in un club come questo, nonostante abbia conosciuto piazze importanti. Un peccato perché sono convinto che avremmo raggiunto la Serie D e sarebbe stato bellissimo riuscire a vincerla da giocatore. Spero sarà così da dirigente”.


Una generazione sta lasciando e ha segnato la storia del calcio laziale.

“Quante battaglie sul campo. Penso a difensori come Calabresi, Di Franco e Borrino del Formia, Santoni e Gagliarducci della Lupa, Scotto e Casciotti, Piccheri e Quadrini. Che botte! Ma non c’è stata mai una mancanza di rispetto sportivamente parlando. Poi magari fuori dal campo non ci si piaceva, ma quello che mi hanno dato questi uomini da avversari e da compagni non c’è più. In quest’ultimo anno ho avuto anche la fortuna di conoscere Fabrizio Romondini, professionista vero, sportivo esemplare, persona straordinaria”.


Non ci sarà la tua “last dance”.

“Documentario sul più grande sportivo di tutti i tempi, Michael Jordan. Ti fa capire cosa vuol dire fare sport e come ragiona un campione. Nel mio piccolo io, che campione non lo sono mai stato, mi sono creato un film tutto mio. Ho fatto tutto nel bene e nel male: ho vinto e ho perso, sono stato protagonista e capro espiatorio. E tutte le persone che mi hanno accompagnato, soprattutto gli avversari, mi hanno fatto vivere”.


Il momento più bello della tua carriera?

“Sicuramente è legato all’Unipomezia, scelgo il ritorno in campo dopo 4 mesi da direttore generale con Punzi in panchina. Eravamo in fondo alla classifica e sognavamo di vincere la Coppa Italia, sono rientrato a 33 anni con dieci giorni di allenamento rischiando l’infortunio. Vincemmo la Coppa e ci salvammo, un ricordo meraviglioso, mi sentivo protagonista di un gruppo vero insieme ai protagonisti: Valle, Lupi, Casciotti, Lalli, Morici, Cappabianca...”.


La squadra più forte in cui hai giocato?

“Sono due, l’Unipomezia di Solimina e il Terracina. Festa, Botta, Campobasso, Di Franco, Neri, Marzullo, La Cava, Vitale... Oggi una squadra così vincerebbe il campionato a dicembre, una vittoria storica per la città e che ha segnato il calcio laziale”.


Qualche sassolino nelle scarpe?

“Sono in pace con me stesso e amo la mia vita, la mia famiglia e quello che faccio. Sono sassolini, in quanto tali piccoli e insignificanti. Penso a tante persone che avrebbero fatto carte false per l’Unipomezia, per venirci o per restarci, che poi appena possono sputano veleno. Questo club è il più ambito e il più chiacchierato, la verità è che ci sono le stesse dinamiche presenti in altri club, ma qui c’è una risonanza incredibile soprattutto di quelle negative. Il Presidente ha aiutato i giocatori e le loro famiglie anche a livello personale, però non si dice, di questa squadra se ne parla solo male e si omette il bello”.


Perché secondo te?

“Valter Valle è entrato nel calcio portando la sua mentalità, riscunedo a creare una struttura oggi invidiabile anche per club di categorie superiori. Lui ha portato il professionismo nei Dilettanti, ma probabilmente l’ambiente non era pronto. Così sono nate invidie e cattiverie”.


Sei già pronto a rimetterti in gioco?

“Sono pronto a dare tutto per l’Unipomezia. Ho sempre fatto il massimo per aiutare la squadra e il Presidente e spero di continuare a farlo se me ne darà la possibilità. Se non ci fosse posto per me farò il tifoso, ma resterei per sempre innamorato della società e non potrei certo parlarne male”.


L’ultimo messaggio da calciatore?

“Un ringraziamento a tutti. Da quelli che mi hanno aiutato a quelli che hanno provato ad ostacolarmi, perché ognuno mi ha permesso di essere qui, di essere questo. Poi tutti i miei compagni e i miei avversari, che mi hanno fatto sentire un numero uno ogni maledetta domenica, rispettandomi o picchiandomi. Porterò tutto dentro di me per sempre e ogni volta che ci penserò mi sentirò un grande, proprio come loro mi facevano sentire sul campo”.

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