l'editoriale
Se la sentenza non chiarisce il colpevole: la "legge" del campo batte quella morale
In base alle risultanze degli atti ufficiali sono state deliberate le seguenti sanzioni disciplinari: 5 gare a porte chiuse, ammenda di 5000 euro
Senza aver alcun riferimento su quanto accaduto, cosa vi verrebbe in mente? Che in una determinata partita, sia accaduto qualcosa di grave, perché simili punizioni vengono emanate sempre e soltanto quando dal normale confronto agonistico, per quanto acceso in modi e termini, qualcuno deve aver sorpassato quel limite che, nello sport ma in un qualsiasi contesto, dovrebbe essere sempre mantenuto all'interno di determinati standard del vivere civile. Ed il condizionale in questo caso è tutt'altro che fortuito, anzi, è puramente intenzionale perché purtroppo siamo abituati e circondati da pensieri, parole, fatti ed atti che, nello specifico, col calcio non ha nulla a che vedere.
Una sanzione del genere, quindi, scatta quando un organo terzo al di sopra delle parti, la Giustizia Sportiva, analizza e sentenzia quanto accaduto in un determinato contesto e ne accerta protagonisti e responsabilità. Appurato questo, sarebbe più che legittimo, a seconda dei casi, che protagonisti e responsabilità vengano puniti in proporzione alla gravità di quanto commesso. Un investimento stradale, non può essere equiparato ad un tentato omicidio, ed infatti non accade, così come un insulto (e ci asteniamo dall'elencare tutte le sue variabili) non può essere equiparato ad un'aggressione fisica.
Ad ogni errore corrisponde quindi una pena ed è compito della Giustizia sanzionare il colpevole in una misura tale dall'evitare tentativi di emulazione e, soprattutto, fare in modo che chi ha sbagliato possa redimersi, comprendendo la gravità delle sue azioni.
In base alle risultanze degli atti ufficiali sono state deliberate le seguenti sanzioni disciplinari: 5 gare a porte chiuse, ammenda di 5000 euro.
Questo è il dispositivo con cui è arrivata la sentenza ai danni della Vis Mediterranea Soccer, dopo quanto accaduto domenica scorsa ai danni di Alice Ferrazza (nella foto in alto) che, per i pochi che ancora non lo sapessero, è stata colpita con un pugno al mento da una persona che, seguendo sempre il dispositivo, non autorizzata (ad essere in campo, ndr) riconducibile alla società ospitante in quanto indossante un giubbotto sportivo di colore blu con il logo della Società. Persona della quale non viene riprodotto il nome (ma che è già sulla scrivania delle autorità competenti) e che dunque, all'interno di un impianto sportivo potrà tornare a comportarsi alla stessa maniera. Una persona che, dato assolutamente non marginale, è di sesso maschile e che ha espresso la sua violenza nei confronti di una donna. Oltre a questo, una società che, classifica alla mano, è pronta alla promozione in Serie B non pagherà adeguatamente il conto della responsabilità (nettamente) oggettiva di aver permesso ad una "persona non autorizzata ma riconducibile alla società" di entrare in campo e di colpire al volto una ragazza che aveva soltanto la colpa di giocare per la squadra avversaria. Ed il comunicato affidato alla stampa locale di "scuse ed immediati provvedimenti" appare tanto dovuto, quanto ininfluente e senza dubbio lontano da un qualsivoglia mea culpa.
Qual è quindi, la ratio di una simile sentenza, quando abbiamo un violento impunito ed una club che, tutt'al più, dovrà giocare in uno stadio vuoto? La giustizia, in senso più ampio, non è composta solamente da tabelle con ammende pecuniarie più o meno elevate, ma porta dentro di sé una marea di sacrosanti fattori, tra i quali il principio del neminem laedere: non offendere nessuno. E questo, invece, è ampiamente accaduto.