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l'intervista
30 Giugno 2017
Giampiero Guarracino affacciatto alla "sua" finestra del Vittorio e Paolo Testa © Paolo Lori
Banalità è un termine che non fa parte del suo vocabolario. La schiettezza, invece, è una sua peculiarità. Giampiero Guarracino torna a parlare in questa lunga intervista concessa a Gazzetta Regionale dopo il suo trionfante rientro a Tor di Quinto. “Potrebbe anche essere l'ultima volta che mi concedo ai microfoni” dichiara sibillino, lui che con i media non ha mai avuto un rapporto molto “intenso”. Una chiacchierata a tutto tondo, dalle emozioni di Firenze alle polemiche scaturite dalle dichiarazioni post finale regionale di Massimo Testa, dalla diatriba sui gironi al ricordo di Paolo. Un'intervista anche per analizzare l'attuale momento del nostro movimento, ormai in mano ai “quaquaraqua”. Un Guarracino autentico, senza peli sulla lingua, che rimpiange i dirigenti di una volta e spera che il calcio, prima o poi, “torni nelle mani di chi lo ama davvero”.
Partiamo da una frase che abbiamo ascoltato tante volte: Tor di Quinto campione d'Italia. Però stavolta ha un sapore diverso. Possiamo definirla quasi la conclusione di una fase.
“Oppure l'inizio di una nuova epoca”.
Assolutamente.
“Per quattro anni, per varie motivazioni, il Tor di Quinto era stato relegato al ruolo di eterno secondo. Questa stagione abbiamo sfatato questa tendenza e il 25 Aprile, data non a caso, ci siamo liberati della Perconti vincendo non il titolo regionale, ma quello italiano. Ero certo che non avrei mai incontrato una squadra forte come la Vigor nella corsa allo scudetto. Un successo che ha due retrogusti. Salato e dolce, un po' come quando mangi pizza e fichi. Direi che noi abbiamo aggiunto dell'ottimo prosciutto”.
Guarracino rientra alla base e il Tor di Quinto torna a vincere: un caso o con il tuo ritorno si sono ristabiliti quegli equilibri che erano andati persi dopo il tuo saluto?
“Di certo so una cosa: al mio ritorno ho trovato un gruppo di preparatori di un'altra categoria, è questo il nostro grande segreto. Abbiamo preso le scelte giuste ogni volta, condivise e meditate da tutto lo staff, senza nessuno sbaglio. Non ha vinto Guarracino, ha vinto un'equipe guidata da Massimo Testa, che considero il nostro generale Zukov. Diciamo che io sono Krusciov, il comandante di Stalingrado. Per chi conosce la storia...”.
Non solo un generale e un comandate, ma anche un grande esercito.
“Più che un esercito direi una famiglia. Penso a Fabrizio Tafani, uomo di una generosità disarmante che se pensasse esclusivamente a se stesso sarebbe in pianta stabile nel professionismo, a Marco Moretti che ho voluto fortemente dietro la scrivania e mi ha ripagato con un fantastico lavoro, Peppe Marra, Pezzali, Quadrelli. Di Marco, il grande fautore del mio ritorno in via del Baiardo e poi Paolo. Lui è sempre con noi, ci accompagna passo dopo passo. Era anche a Firenze, chi era presente sa di cosa sto parlando”.
Decisioni sempre mirate, tra le quali il sorprendente divorzio da Valentino Vergari dopo la regular season. Come è andata?
“Su questo non mi impiccio. Taccio”.
Al suo posto Lorenzo Basili: durante le fasi nazionali la gestione del gruppo è parsa davvero soprendente.
“Questo ragazzo ha doti straordinarie. Per me è come un nipote quindi potrei sembrare parziale, ma al di là dell'affetto parliamo di una persona estremamente preparata e seria, che conosce alla perfezione il mondo Tor di Quinto, l'essenza della società. Abbiamo puntato su di lui dopo che l'allenatore ha preferito lasciare”.
Nonostante la giovane età ha mostrato una tranquillità interiore da tecnico già navigato. Con atteggiamenti che ricordano molto lo zio, Paolo Testa.
“Ho vissuto tutta la storia di Paolo dagli inizi. Era un grande motivatore, con lui alla guida abbiamo vinto titoli regionali anche con rose inferiori a quelle avversarie. Ricordo una semifinale contro la Tor Tre Teste incredibile, dopo il primo tempo ero sicuro di uscire. Invece riusciva a sovvertire i pronostici con la sua carica e con le sue intuizioni a gara in corsa, era davvero incredibile. Lorenzo è cresciuto con lui, è intelligente, ha assorbito tantissimo i suoi insegnanenti e può ancora migliorare molto”.
L'inserimento in finale di Mattei, che di fatto spacca il match, è stata una di queste intuizioni?
“L'ingresso di Mattei non nasce a caso. Non dico che fosse concordato, ma come accadeva con Paolo la sera prima, insieme anche a Fabrizio Tafani e Lorenzo, abbiamo ipotizzato quale tipologia di gara ci aspettava e sapevamo che Mattei, inserito al momento giusto, avrebbe dato un qualcosa in più”.
Un qualcosa di determinante.
“Vedi, Mattei a mio modo di vedere è un giovane di grande prospettiva, a volte non capisco come vengono valutati i calciatori. Purtroppo nel Lazio abbiamo una nuova figura nel movimento regionale, quella dei «missili». Ormai sono tutti missili che viaggiano spediti spinti dalle loro idee. Mi spiego meglio: sono solito passeggiare sul mare la mattina presto e ogni tanto, in lontananza, noto delle nuvole scure, ma piccolissime. Qualcuno potrebbe pensare che sia l'inizio di un temporale, un cambio vento. Invece no: sono tutti gli allenatori che pensano”.
Torniamo al titolo regionale: al termine della gara le dichiarazioni del tuo presidente hanno fatto molto discutere. Lo stesso era accaduto al momento del tuo rientro: perché c'è sempre grande attenzione, secondo te, alle parole di Massimo Testa?
“Massimo Testa ha una grandissima capacità: riesce sempre a cogliere il momento giusto per parlare e far incazzare gli altri. Spesso dopo le sue parole si defila, mentre gli altri continuano a litigare tra loro. In molti non comprendono che è un grande provocatore e abboccano: in questo modo attira tutte le pressioni su di sé e la squadra lavora tranquilla”.
Da qui sono comunque scaturite le rinuncie al Memorial Paolo Testa di Perconti e Accademia in seguito alle sue interviste durante i play off. Come le avete interpretate?
“Nessuna interpretazione, le abbiamo rimpiazzate in tre minuti. Hanno fatto la loro scelta, anche se mi dispiace che molto spesso le persone quando sentono la voce del presidente non lo ascoltano con attenzione”.
Per esempio?
“Per esempio penso ad Attilio Ortenzi. Quando Testa parlava dei giocatori dell'Accademia non pensava fossero molto diversi dal Tor di Quinto. Lui aveva notato che il loro esterno sinistro aveva passato i primi venti minuti a sistemarsi i pantaloncini per mostrare meglio i tatuaggi invece che occuparsi di Volponi. Peccato che nei primi venti minuti Volponi avesse sfornato tre assist e la semifinale fosse già chiusa. Non voleva dire nient'altro di diverso, era rimasto molto colpito perché questi sono atteggiamenti che da noi non sarebbero mai accettati. Se questo ha portato Ortenzi a vivere le dichiarazioni del presidente come lesa maestà... Ha preso una posizione politica che non so fino a che punto porterà benefici al suo club. Per quanto riguarda la Perconti che dire: forse il nostro ritorno a certi livelli non è stato ben digerito, nonostante abbiano le possibilità di offrire «aperture di credito» ai tesserati del settore giovanile”.
Ti risulta questo?
“Certo e non lo fa solo la Perconti, più di una società si comporta in questo modo, anche con categorie inferiori alla Juniores. Una vergogna”.
Sono i tempi che cambiano?
“No, sono i dirigenti che cambiano. Naturalmente ci sono anche le responsabilità delle federazione, che non vigila, non controlla. Vedo club che tesserano ragazzi di colore senza che nessuno attui le dovute verifiche all'anagrafe, vedo squadre formate con minorenni che arrivano da fuori regione. Sono convinto che con un controllo maggiore delle istituzioni queste consuetudini svanirebbero presto, spero si faccia qualcosa”.
È solo un aspetto di un movimento che presenta sempre maggiori criticità.
“C'è solo una strada per uscire da questo tunnel: restituire il calcio a chi lo ama. C'è il problema dell'impiantistica, per esempio, quello dei procuratori... Dieci minuti dopo la vittoria del campionato arrivano le iene a cibarsi delle carcasse e sono questi fantomatici procuratori. Oppure ogni tanto sento parlare di «cordata romana» che vuole rilevare questa o quella società: le cordate fanno parte dell'alpinismo, non del calcio”.
Anche tu, però, sei stato attirato a Ferrara da una «cordata».
“La mia non era una cordata, era una persona sola che non sapeva neanche nuotare”.
Mi pare di capire che all'orizzonte non vedi dirigenti validi e un futuro roseo per il calcio.
“Guarda, i giovani dirigenti se sono bravi devono prendere il posto di chi c'è. Il ricambio generazionale deve esserci, sono per la meritocrazia e l'ho sempre dimostrato, in ogni mia scelta. Però, effettivamente, ho difficoltà ad individuare uomini di spessore in questo momento”.
Come si può invertire la rotta?
“Purtroppo il calcio è in mano ai «quaquaraqua». Persone che illudono i giovani con false promesse, dirigenti che chiedono ai genitori 5 - 10 mila euro per mantenere i loro figli in convitto. Poi, soprattutto in questo momento, bisogna stare in guardia: l'estate è cominciata, a qualcuno servono i soldi per le vacanze”.
Poche volte hai espresso le tue opinioni con i media: perché questo rapporto così stringato? Sei comunque un direttore sportivo che ha vinto, c'è chi non ha vinto e non si sottrae alle interviste.
“Ultimamente televisioni e siti mi sembrano i santuari dei non vincenti. Non ho mai fatto del mio lavoro uno scopo di visibilità. Ho vinto campionati e dopo un quarto d'ora stavo comodamente seduto a casa, in tranquillità, mentre a qualcuno piace molto farsi vedere sugli altri centri sportivi. Non vivo di visibilità: c'è chi spende milioni di euro per apparire, mi riesce bene senza spendere una lira. C'è chi nasce fortunato”.
Ogni anno sono in tanti ad ambire ai vertici, eppure alla fine, salvo sporadiche eccezioni, arrivano sempre le stesse: come mai?
“Perché sono quelle che hanno le persone giuste, competenti, che sanno quello che fanno. Così come i tecnici: c'è tanta differenza con le altre”.
Tra le quali c'è il Tor di Quinto: vincere non aiuta certo ad essere simpatici.
“Mettiamola così, partiamo dall'inizio. Ogni stagione, dopo il sorteggio dei calendari, va in scena il primo atto di una tragedia teatrale: «i gironi». Il Tor di Quinto è favorito, è uno scandalo, eccetera. Il problema è che molto spesso la verità non emerge e noi non siamo persone a cui piace parlare molto. Questo, però, non vuol dire dare adito alle malelingue, significa non curarsene. Bisognerebbe invece mettere in evidenza come, dopo la compilazione dei raggruppamenti, il presidente venga subissato di telefonate di club che chiedono di non essere inserite con noi. E questa è solo la punta dell'iceberg, ci sono tante altre incongruenze. Evidentemente parlare in questi toni del Tor di Quinto è una sorta di sfogo, li fa' star meglio. Secondo te, nel Serengeti, perché le zebre e gli gnu ogni anno passano in mezzo ai leoni, nonostante l'esperienza insegni loro che sarebbe meglio non farlo?”.
Perché?
“Perché è più forte di loro, gli piace stare davanti alle telecamere e spararla grossa. Poi, però, arrivano i leoni e vengono sbranati”.
Le altre squadre sono le zebre e gli gnu?
“Esatto. Prima di andare a caccia bisogna diventare leoni. Poi, una volta diventati leoni, si può pensare di puntare al bersaglio grosso”.
Così passerai l'estate ad aspettare le zebre?
“No, quelle le attendo durante l'anno. La mia estate la passerò a Tor di Quinto, intento ad osservare le allodole che voleranno sul fiume e pronto a cacciare quelle più gustose. Stiamo lavorando per mettere in piedi squadre competitive, come ogni stagione”.
Cosa ha il Tor di Quinto di speciale?
“La cultura della sconfitta, Paolo ha lasciato a tutti questa importantissima eredità. Se si perde a testa bassa si esce dal campo, applaudendo gli avversari e senza distruggere vetri, lavandini e spogliatoi. Se un nostro tesserato assume simili atteggiamenti viene immediatamente cacciato. Tutto qui, molto semplice”.
Semplice come vincere uno scudetto. Firmato: Giampiero Guarracino.
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