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l'editoriale

"Ti aspetto fuori stronza!" Così il calcio muore

Scene e frasi da censura che superano qualsiasi limite della vita civile durante un match di calcio giovanile. L'oggetto la giovane arbitro Federica Di Biase

30 Ottobre 2017

"Ti aspetto fuori stronza!" Così il calcio muore

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Ti aspetto fuori stronza” seguito da un “chiama i Carabinieri che oggi non esci”. Sono le agghiaccianti minacce di un povero uomo sulla settantina, probabilmente parente di qualche ragazzo del Giardinetti, rivolte a Federica Di Biase, giovanissima direttrice di gara della sezione di Aprilia, durante la sfida di Lungotevere Dante tra i biancorossi e il Campus Eur. Sono le parole che rappresentano il punto di rottura, perché in quel momento in tribuna c'è chi non tollera oltre e, ahimè, pensa sia giusto passare ai fatti. Qualche spintone, poi fortunatamente la cosa rientra. Quello di sabato è un pomeriggio emblematico e paradossale allo stesso tempo, in grado di rappresentare alla perfezione la realtà attuale del nostro calcio. Il degrado sociale che spinge verso una minacciosa deriva questo splendido sport, la passione che pulsa sempre più faticosamente e gli permette di restare in vita. Non venitemi a parlare degli errori tecnici, che ci sono stati e anche gravi. Qui c'è spazio solo per condannare, con estrema fermezza, la mancanza di rispetto dell'essere umano, che con in dosso una divisa diventa carne da macellare, mentre su un manto verde stanno correndo ventitré ragazzi. Non è accettabile. Un indecoroso tentativo messo in scena da alcuni genitori, nella speranza di condizionare le chiamate di quella ragazzina lasciata sola in mezzo al campo. Da brividi! Sono bastati una manciata di minuti per assistere all'inizio di un attacco vile e senza sosta alla Di Biase, che aveva sbagliato qualche chiamata, ma stava meritando una valutazione ottima. Voglio incoraggiarla perché la stoffa, per buona parte della gara, l'ha mostrata. Non aveva fatto i conti con una platea grottesca, pronta a distruggerne le certezze e contestarle ogni fischio a sfavore o presunte sviste. Riparta da qui, ancora più forte e consapevole che questi episodi si ripeteranno costantemente sui campi. E pensare che la mia attenzione era stata catturata negli istanti prima della partita da un adolescente seduto in tribuna al fianco di un adulto. Sento la sua voce dire: “Speriamo che si divertino e giochino bene”. Risposta dell'adulto: “Speriamo che vincano, altro che giochino bene!”. Le due forze contrapposte, la purezza di un giovane amante del calcio, il cinismo e l'aspettativa di chi ha perso il contatto con la realtà e non ricorda che si tratta di un gioco tra ragazzi. Amarezza alla quale si è aggiunta, con l'inizio della gara, l'irritazione. Una sorta di latrato costante da far rimpiangere le vuvuzelas, movenze del corpo minacciose, il compiacimento del branco per l'insulto più “divertente”. Passa in secondo piano il gioco, priorità e responsabilità ci portano a chiedere con urgenza un intervento severo. Una speranza l'abbiamo: sono quei dirigenti che al triplice fischio hanno richiamato immediatamente all'ordine i calciatori – in serata anche scambio di ringraziamenti sui social per la collaborazione - e si sono posti a tutela della direttrice di gara, insegnando ai giovani atleti come si diventa uomini e permettendo a Federica Di Biase di sentirsi, finalmente, al sicuro. 

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