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l'intervista

Giampiero Guarracino, 70 e non sentirli: "Sto tornando"

Uno dei direttori sportivi più vincenti della storia del calcio laziale vicino al rientro: "Ancora pochi giorni e saprete... Ma sono già a lavoro"

28 Febbraio 2018

Giampiero Guarracino ©Lori

Giampiero Guarracino ©Lori

Giampiero Guarracino ©Lori

Dal giorno delle sue dimissioni le voci si sono rincorse incessanti. Addirittura qualcuno aveva già dato per certa la sua nuova destinazione, ma la soluzione del rebus è ancora ben custodita nella sua testa. L'attesa, però, sta per finire e Giampiero Guarracino, a breve, comunicherà la sua nuova società, soddisfando la curiosità di appassionati e addetti ai lavori. Uno dei direttori sportivi più vincenti del Lazio, pochi giorni dopo i suoi settanta anni, è pronto a riprendersi il suo posto nel calcio laziale e il suo posto, come è sempre stato, è ai vertici. Non importa con chi, non importa dietro quale scrivania. Guarracino è pronto ad una nuova sfida, con il piglio che da sempre lo contraddistingue.


Direttore, come ha passato questi mesi senza ruolo da direttore sportivo?

“Mi sono riposato, ho pensato un po' a me stesso. Diciamo che dopo trentacinque anni mi sono preso due mesi di ferie. Non ci ero abituato”.


Ha pensato a lei in che senso?

“Musica, cinema, teatro: ho molteplici interessi al di fuori del calcio, comprese le donne (ride, ndr)


Però l'abbiamo sorpresa sui campi più volte.

“Certo, vado a guardare le partite, osservo, medito e tiro le somme. A volte distaccarsi aiuta a fare il quadro della situazione. Più guardo dall'esterno, più mi accorgo come sia caduto in basso il calcio”.


Sotto che punto di vista?

“Morale e tecnico. Gli addetti ai lavori, a partire dalla Serie A, sono più orientati agli intrallazzi per aumentare gli introiti che a prendere i giocatori. Genitori con disponibilità economiche possono assicurare un presunto futuro ai loro figli, ma così facendo si penalizzano i talenti di spessore che non hanno le stesse possibilità e le squadre sono figlie di questa mentalità”.


Ti è mai capitato di avere a che fare con questi meccanismi?

“No, mai praticati. Anche perché fortunatamente sono un buon pensionato, con i soldi non devo farci nulla, i miei figli sono sistemati egregiamente e non ho nipoti che giocano a calcio. Non mantengo donne di piacere, non mi compro Suv o altri status symbol per dimostrare che faccio parte di una certa Elite. Sono ben lontano da quel modo di ragionare”.


Da questi meccanismi deriva anche l'impoverimento tecnico: come si è arrivati fino a questo punto?

“Gli ultimi campionati seri disputati sono quelli del 2008/2009, poi c'è stato un calo importante. In quei campionati avevamo giocatori come Napoleoni, Morga, De Rossi, Kanoute, solo per citarne alcuni: sono calciatori che non si trovano più, dotati di basi tecniche che non si insegnano più”.


Oggi esistono addiruttura allenatori “personali” per imparare la tecnica individuale.

“Se ci sono genitori che pagano un istruttore privato per insegnare la tecnica ai loro figli, ci sono preparatori atletici che preparano le squadre atleticamente allora mi chiedo: cosa fanno oggi gli allenatori? Non più tardi di qualche anno fa i tecnici sapevano fare tutto, questa è la grande differenza. E non parlatemi di tattica per favore, l'ho vista insegnare egregiamente anche da preparatori atletici”.


Eppure a grandi livelli i tecnici italiani sono sempre al top.

“Sia chiaro, non sto dicendo che nessuno sa insegnare calcio. Dico semplicemente che in molti, oggi, non sono capaci. Cercano di esprimere le stesse idee di chi è in Serie A senza averne le capacità e fanno solo danni”.


C'è un allenatore del passato che ricordi con paricolare trasporto per le sue capacità?

“Uno sì, Carletto Gasbarra. Vinse con la Romulea lo scudetto Giovanissimi nell'83/84 e vedere Nicola Vilella, nonno dell'attuale presidente della Romulea, commuoversi in quel modo, è un'immagine che mi porterò sempre nel cuore. In quella squadra c'era anche qualche giocatore che mi avevano fregato dalla Pro Calcio Italia, ma lo ricordo con il sorriso. A quei tempi era diverso, il mercato si faceva con i tecnici. Quando ingaggiavi un grande allenatore i ragazzi venivano da te perché erano certi di imparare, di crescere e di vivere un campionato da protagonista”.


Giampiero Guarracino ©GazReg

Un esempio?

Franzellitti. Alla Pro Calcio Italia aveva Cotroneo in mezzo al campo, Gasbarri trequartista, in porta Filippi, Crociani dietro: insomma parliamo di un livello incredibile che si è perso, anche perché sono cambiate le regole. Non si cercano più tecnici che insegnano ai calciatori, ma tecnici con lo sponsor”.


Come si può arginare questo fenomeno?

“Lavorando seriamente. Aboliamo i regionali e torniamo ai Provinciali. Chi vince rappresenta la propria provincia ai playoff e si decide il campione regionale”.


Eppure il sistema laziale è stato ripreso da tantissime altre regioni.

“Sì, ma in Lombardia ci sono anche quindici club professionistici che rappresentano un bel salto di qualità per i ragazzi. Da noi solo due: è più complicato garantire sbocchi per i nostri talenti che, troppe volte, smettono di giocare perché non strovano lo sbocco giusto e che meriterebbero”.


Finite le ferie? Tra quanto torni sulla tua poltrona? Ci sono state tante ipotesi fantasiose.

“A giorni mi trasferirò su un atollo, un posto tranquillo. Ma non pensiate che me ne sia stato con le mani in mano. Sono già al lavoro, sono pronto, le squadre sono praticamente fatte e sono formazioni che ambiranno al titolo regionale. Mi sono preso sette mesi di vantaggio e sul mercato sarò spietato, voglio divertirmi, non guarderò in faccia a nessuno”.


Il mercato giovanile fa molto discutere in queste ultime stagioni, tra falsi procuratori, illusionisti e genitori che, come lei ha già sottolineato, sono pronti a tutto per favorire le ambizioni dei propri figli.

“È semplice: inseriamo il premio di preparazione anche negli scambi dei dilettanti. Si risolverebbero un sacco di problemi, ormai nel 2018 basterebbe davvero poco per avere anche un buon controllo. Chi vanta un credito per i premi di preparazione gli viene decurtato dalle iscrizioni dei campionati e il problema è risolto. Prima di andare a prendere un calciatore da qualcuno, ne deve valere la pena perché devi pagare. Il livello resta più alto senza quelle rose da trenta ragazzi che non hanno nessun senso”.


In questi mesi avrai ricevuto tante proposte: c'è stato qualcuno che ti ha tentato a rientrare immediatamente?

“No, perché quando ho lasciato Tor di Quinto ero molto stanco. Quando ho parlato con il presidente ho spiegato le mie ragioni e rientrare subito sarebbe stato scorretto. Però ho un rammarico: non aver lasciato dopo il titolo italiano Juniores. Quel titolo ha dato fastidio a molti, soprattutto all'interno del club. Avrei dovuto lasciare subito, è stato il mio unico errore”.


Quindi ci aspettiamo un ritorno in grande stile?

“Le ferie sono finite, voglio divertirmi ancora qualche anno. E se qualcuno aveva pensato che il mio fosse stato un addio definitivo resterà deluso: la segreteria non fa per me”.

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