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l'intervista
26 Settembre 2018
La creazione di un talento non è affatto una cosa semplice. Ci vuole lavoro, tempo e passione per far sì che un ragazzo riesca ad emergere dalla mischia e ad imporsi sul rettangolo verde. Questo è l'intento del progetto "Next Generation" della Sampdoria, fortemente voluto tanto dal Presidente Massimo Ferrero quanto dall'avvocato Antonio Romei, che ha trovato nel Futbolclub una piazza d'eccezione. A confermare l'ottimo feeling tra il club blucerchiato ed il sodalizio di Roma Nord è Giuseppe Butti, ex giocatore di Serie A (con oltre 150 presenze nei professionisti) ed oggi uno dei componenti dello staff tecnico della società ligure, preposto alla coordinazione del lavoro. “Qui ci sono innanzitutto delle strutture fantastiche – esordisce Butti – come quella dell'Acquacetosa che non ha bisogno di presentazioni. Questo è sicuramente un fattore che incide nella crescita calcistica di ogni ragazzo. Quello di Roma è davvero un centro all'avanguardia, in altre parti d'Italia si fa fatica, invece, a trovare delle strutture che permettano ai ragazzi di esprimersi al meglio. Oltre a questo ci sono degli istruttori di livello che consentono di sviluppare le migliori metodologie di lavoro. Per far crescere un ragazzo la prima mossa da fare è sviluppare un lavoro che abbia continuità nel tempo. Non bisogna affrettare la crescita di nessuno. Poi, bisogna lavorare sul gesto tecnico e sulla coordinazione. Molto spesso mi accorgo che ci sono ragazzi, anche di società professionistiche, che hanno difficoltà nella corsa e nel controllo del pallone. Questo pregiudica qualsiasi futuro sviluppo di un calciatore. Come può un ragazzo sapersi svincolare da una situazione di pressing, ad esempio, se ha difficoltà nel controllare il pallone e smistarlo poi ai compagni? Ecco, è su questa cosa che si deve lavorare innanzitutto, poi si può pensare alla tattica, che invece è ciò che molto spesso caratterizza gli allenamenti di molte squadre a livello giovanile. Curato il gesto tecnico, poi si passa a lavorare sulla forza, sulla velocità e sulla traiettoria. Al Futbolclub ho avuto sin da subito l'impressione che la cura del gesto tecnico sia primaria e, guardando gli allenamenti delle squadre, siamo molto soddisfatti. Nel calcio bisogna tornare alle cose semplici ed in questo senso mi vengono in mente le dichiarazioni di Gervinho di qualche giorno fa. Ha raccontato la sua esperienza in Costa D'Avorio da bambino. Nella sua accademia si giocava a piedi scalzi. Superati una serie di esercizi con il pallone al piede i ragazzi ottenevano il primo paio di scarpini per potersi poi continuare ad allenare. Certamente questo racconto è un'estremizzazione, ma credo che faccia capire su cosa bisogna puntare per far nascere e crescere nuovi talenti”.
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