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L'INTERVISTA
17 Giugno 2019
Luigi Miccio, ©DeCesaris
Non leggeremo il libro che Luigi Miccio ha promesso di scrivere sin dai primi passi a un metro dai suoi ragazzi. Semplicemente perché la favola di quel giovane artigiano del pallone innamorato di questo sport, iniziata quando ancora non era maggiorenne, prevede capitoli e nuove avventure da realizzare. Oggi, a 33 anni, ha allenato se stesso e compreso che la vita di un maestro di calcio è bella, ma anche un canyon di trappole, una foresta di responsabilità. Comunque lo si interpreti, tra tattiche e pensieri, cerca di ordinare i tasselli nel binario giusto: "Dietro un allenatore c’è una persona con le proprie emozioni, i propri dubbi e le proprie debolezze che può sbagliare. Ho sempre dato centralità ai rapporti umani che ruotano attorno a un ragazzo e i ragazzi da questo traggono grandi vantaggi. Fino a qualche anno fa ci si fidava di più, sono cambiati i rapporti umani con i ragazzi perché prima era più semplice entrare nel loro cuore e poi nella testa. Gli interessi delle famiglie erano minori una decina di anni fa, c’era una cultura educativa e sapevano che gli errori facessero parte del gioco. Oggi i rapporti sono più complicati, il risultato viene prima di tutto, i risultati sono necessari per il profitto e se non li ottieni le società faticano ad autosostenersi. Avere fiducia diventa difficile". Il confine tra risultatisti e giochisti, la bolla speculativa dei dibattiti moderni che interessa il calcio a tutti i livelli: la centralità dell'obiettivo e della nuvola nera del fallimento rendono sempre più complesso il ruolo degli allenatori. Miccio in questi anni ha ottenuto successi, amarezze, mai abbandonando l'ottimismo: "Credo di aver fatto passi in avanti e voglio crederci ancora. Il mio sogno principale è quello di diventare allenatore professionista e spero mi venga data l'opportunità. Roma e il Lazio sono ambienti pretenziosi, è difficile emergere e ci sono persone buone con qualità umane e professionali e meno buone. Qui nel Lazio l'evoluzione che mi ha riguardato negli ultimi anni mi ha scoraggiato e spero che il mio lavoro sia ancora apprezzato". Dal battesimo nella scuola calcio del Certosa fino alle esperienze extra-regionali con la Nocerina e il Crotone, Luigi Miccio ha analizzato e ripercorso i momenti vissuti: "Credo che i ragazzi con cui ho avuto a che fare mi possano ricordare come un allenatore che gli ha trasmesso tutte le conoscenze. Ho commesso i miei errori con diversi di loro, ma l'ho sempre fatto non volendo. Avrei potuto fare scelte diverse negli utlimi anni, cercherò di trarne insegnamento per il futuro". Ora inizia il sequel di Miccio, il suo secondo tempo: "Nuova fase per crescere ancora nel settore giovanile per mettere al centro i valori personali. Nella stagione non andata secondo le aspettative al Savio, il rimpianto è di non aver conquistato i ragazzi. Prima o poi si sbaglia. Spero di rientrare presto nel calcio a undici, ora collaboro il calcio a otto con l’SS Lazio un movimento che negli anni futuri crescerà sempre più. Non considero la mia attività del calcio a otto esclusiva, la mia speranza e la mia attesa è febbrile per tornare nel calcio a undici: negli ultimi dieci anni ho dato e ricevuto altrettanto dal settore giovanile. La fortuna di questa avventura con la Lazio è quella di non avere contrapposizioni di tesseramento con il calcio a undici. Vorrei tornare a emozionarmi". Dalla gavetta agli anni di studi Luigi Miccio alla domanda di scegliere un film per i quindici anni di carriera, non ha dubbi: "La vita è bella" di Benigni. Metaforicamente ricalca un concetto che mi porto dietro: continuare a credere in un sogno nonostante le delusioni, le difficoltà e le sofferenze che un percorso può implicare". Miccio nelle cuffie ascolta Max Pezzali. E si sente all'inizio dello show.
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