Cerca
l'intervista
01 Novembre 2019
Giampiero Guarracino © Paolo Lori
Giampiero Guarracino è un personaggio sui generis. Schivo, mai sopra le righe, poco incline ad interviste e dichiarazioni ad effetto. Un uomo che guarda sempre avanti, perché “chi si ferma è perduto” come ama ripetere spesso. Così, quando durante l'ultima amichevole chiacchierata si è lasciato scappare un “mi piacerebbe fare il punto, tracciare una linea” non ce lo siamo fatti ripetere due volte. Ne è nata un'intervista unica, che ripercorre decenni di carriera. Varcata da poco la soglia dei settant'anni, ha scelto di fermarsi un secondo a ricordare. Sia chiaro, solo un istante prima di ripartire. Perché il calcio è la sua vita e pagine vuote da riempire ce ne sono ancora tante.
Partiamo dall'inizio: perché la carriera di direttore sportivo?
“Per mio padre. Ho iniziato con lui, addirittura il primo cartellino l'ho preparato a sei anni. Seguendolo mi sono appassionato a questa professione”.
Anche se hai iniziato come allenatore.
“All'inizio mi piaceva la panchina, mi ispirava il ruolo del tecnico. Ho frequentato il corso, mi sono diplomato e ho iniziato a lavorare'”.
In quale squadra.
“Nella Pro Calcio Italia, dai Giovanissimi fino alla Juniores. Poi nel 1982 ho deciso di intraprendere il ruolo di ds. Ho iniziato dalla Pescatori Ostia ai tempi del suo splendore. Ho iniziato con Pescatori – Romulea, l'arbitro andò nel pallone e più di qualche tifoso finì in mare. Fu un esordio davvero turbolento (ride, ndr)".
Poi Ostiamare e Savio. Con Fiorentini c'è sempre stato un grande rapporto.
“Paolo è un amico, abbiamo vinto due titoli regionali insieme, peccato per le due finali scudetto perse. Ma porto nel cuore anche il Collatino, con una finale al Flaminio con la Juniores contro l'Olimpica, dove andai la stagione successiva”.
Hai collaborato anche con il Castel di Sangro dell'attuale presidente FIGC Gravina.
“Le giovanili vennero affidate a Patalano, il tecnico della Primavera era Giorgio Mascellani e ci siamo tolti tante soddisfazioni. Mi ricordo che eliminammo la Roma dai playoff e ci invitarono anche al Viareggio, dove abbiamo sfiorato il passaggio del turno con Bari, Inter e Borussia Dortnund. Peccato, ma resta un meraviglioso ricordo”.
Prima di partire per l'Inghilterra per esigenze lavorative le parentesi Ceccano e Fiumicino, con un campionato di Eccellenza vinto. Ma è al tuo rientro che inizia la parentesi più entusiasmante della carriera.
“Con il Tor di Quinto è stata una cavalcata lunga dodici anni. Un periodo unico”.
Come hai conosciuto Massimo Testa?
“Da bambini, lui aveva dieci anni, io sette. Giocava in una squadra di piccoli campioncini, una sorta di Saranno Famosi, io li seguivo ogni giorno, allenamenti e partite al campo numero 10 dell'Acquacetosa. Tutti quei ragazzi sono sbarcati nel professionismo, un qualcosa di impossibile da ripetere. Chi è andato male ha chiuso la sua carriera in Interregionale. Poi Vittorio Testa e mio padre erano amici, è un rapporto che nasce tanti anni prima del nostro sodalizio”.
Avete scritto una pagina unica nel calcio laziale, formando un duo che rimane ancora ben impresso nell'immaginario degli appassionati. Come ci si rapporta lavorativamente con il Massimo Testa Presidente?
“Il motivo per il quale sono andato via da Tor di Quinto non è certo Massimo. Mi ha lasciato sempre lavorare tranquillo e non va preso come una persona che si altera senza motivo. È vero, non è un angelo, ma la sua passione per il Tor di Quinto è incredibile. Lui è prima un tifoso, poi un dirigente, ma parla sempre da tifoso. Certo, non sempre in maniera garbata e in questa società dove le parole valgono, purtroppo, più dei valori appare fuori luogo, ma la persona non si discute”.
Quindi perché sei andato via?
“Non sono logiche sportive, quindi preferisco non parlarne. Diciamo solo che alcune presenze non mi andavano più a genio”.
La scomparsa di Paolo Testa è stato il momento più duro. Cosa rappresenta per te?
“Paolo è l'essenza del calcio. Un maestro in campo e fuori e soprattutto rispettava tutti i suoi ragazzi, forti e meno forti, inoltre non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Non posso dire che per me era un figlio, perché farei un torto al padre, però è stato più di un amico. La sua malattia è stata una tragedia e vi giuro che fino all'ultimo giorno non credevo che ci lasciasse. Mi sembrava impossibile”.
Cosa accadde a quel punto tra te ed il Tor di Quinto?
“Ero stanco di ascoltare persone che per anni non hanno portato nulla di idoneo alla grandezza del club. Perché parliamoci chiaro, il Tor di Quinto è un club di livello nazionale. Faccio un esempio: metteresti un pescatore di Posillipo a guidare una portaerei americana? Con tutto il rispetto per i miei amici pescatori, sia chiaro, ne ho tantissimi. È solo per far comprendere che si parla di mestieri differenti e che per timonare determinate imbarcazioni non basta la patente nautica”.
Se non fosse scomparso Paolo avresti lasciato via del Baiardo?
“Con Paolo non me ne sarei mai andato. Probabilmente sarebbe andato via qualcun altro che ancora fa parte della società”.
Il tuo presente si chiama Real Testaccio.
“D'Antoni è una persona vera, un presidente con un grande entusiasmo e una passione smisurata. L'ho ascoltato, mi è piaciuto, ho visto come aiuta le persone, come sta vicino ai ragazzi e ho compreso la sua voglia di fare calcio di buon livello. Non ci ho messo molto a decidere”.
Una scelta fatta declinando più di una possibilità di restare in Elite.
“Andare via da un posto per lavorare in un ambiente simile non mi stimolava. Avevo voglia di conoscere persone nuove, vere, che non ti pugnalano alle spalle”.
Come ti sei calato nella nuova realtà? Che ambiente hai trovato.
“Beh, sicuramente non un club pronto a competere per determiati obiettivi. Soprattutto dal punto di vista organizzativo. Abbiamo lavorato molto e ancora c'è da lavorare, ma siamo sulla strada giusta. Ad iniziare dal centro sportivo, che sembra un salotto immerso nella città, a tutte le accortezze che D'Antoni ha verso i suoi tesserati. C'è tutto per raccogliere ottimi frutti”.
Con te c'è Fabio Di Marco. Che rapporto vi lega?
“Fabio è speciale e soprattutto è competente, meriterebbe altri palcoscenici. Un amico vero, come ce ne sono pochi”.
Come lo hai convinto a seguirti?
“Non l'ho convinto io, è venuto. Come tutti gli altri che sono con me (ride, ndr)”.
Hai cambiato ambiente e anche campionati. Come ti trovi?
“È un lavoro diverso, non ero abituato a sentirmi dire dai calciatori di avere proposte più interessanti, ma ci sta. Nonostante questo, d'accordo con il presidente, abbiamo cambiato oltre cento calciatori e tutti gli allenatori. Tutti rigorosamente con il patentino, lo stesso vale per preparatore dei portieri e preparatore atletico”.
Sempre senza promesse.
“Il grande male del calcio è che a tutti promettono e, naturalmente, non a tutti mantengono. Inoltre se gioca chi paga... Poi ci chiediamo perché il movimento è sceso di livello”.
Eppure il fenomeno, nonostante le denunce, non accenna a diminuire.
“Sono cambiati i dirigenti, i genitori, sono cambiati i ragazzi, è cambiato tutto. Prendete ad esempio il ruolo di direttore sportivo, molti sono assolutamente senza conoscenze e competenze. Oggi sapete come alcuni dei miei colleghi, se così vogliamo chiamarli, scelgono gli allenatori? A seconda di quanti calciatori si porta dietro dalla sua precedente esperienza. Non conta quanto vale quella persona come tecnico, conta la dote. Per carità, mi può anche stare bene, ma vorrei porre un semplice quesito: perché se le cose non vanno bene viene esonerato il tecnico e, come è naturale che dovrebbe essere, il ds non si dimette? C'è un'assenza di professionalità preoccupante”.
Facciamo un gioco: dalla prima squadra ai Giovanissimi, i tuoi tecnici ideali.
"Prima squadra Greco o Bellinati, Juniores Persia, Allievi Vergari e Giovanissimi Marco Mei della Tor Tre Teste. Sono tutti allenatori di grande livello che vorrei nella mia società ideale".
Stagione appena iniziata: che risultati ti aspetti dai tuoi ragazzi?
“Una buona stagione, mi piacerebbe conquistare un paio di categorie Regionali e proseguire nel nostro percorso di crescita. Qui ci sono le basi per fare grandi cose e se sono qui è perché ne sono convinto. Il Real Testaccio si conquisterà il posto che merita”.
C'è un desiderio che vorresti ancora realizzare?
"Aiutare qualche altro giovane ad avere la chance di realizzarsi. Sono queste le vere soddisfazioni, le cose che rimangono. Ancora sento molti miei ex calciatori che sono riusciti ad avere un'ottima carriera: sentire a distanza di anni che ti sono ancora grati per avergli offerto l'opportunità di realizzarsi vale più di qualsiasi vittoria".
Uno sguardo all'orologio e poi di corsa al campo. Come ogni giorno da quando aveva sei anni. C'è una pagina bianca da riempire con nuove imprese. Con lo stesso entusiasmo di sempre.
EDICOLA DIGITALE
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni
Dalle altre sezioni