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Focus
02 Giugno 2020
Una macchina della Polizia Municipale di fronte a un assembramento di giovani © Gazzetta Regionale
Ridategli il pallone. E non ci venite a raccontare di nuovo la novella della sicurezza, non attacca più. Non certo per mancanza di fiducia verso istituzioni che si sono ritrovate a gestire un evento unico e inedito, attenuante comprensibile, ma perché ora basta davvero guardarsi intorno. È sufficiente un semplice sguardo, neanche troppo scrupoloso, per rendersi conto che i centri sportivi, o gli impianti come specifica una circolare governativa di inizio marzo, non possono essere più dannosi di altri luoghi. È impensabile immaginare come un campo di calcio - oltre seimila metri quadrati di superficie all’aperto - occupato da venti bambini o adolescenti possa rappresentare un rischio maggiore di una seduta di ginnastica posturale in palestra in uno spazio chiuso. É assurdo volerci far credere che un terreno di gioco utilizzato dalla fascia di età meno colpita possa essere più a rischio di un vagone della metropolitana capitolina. E basta anche con questa storia di pensare ai nonni, non ha più senso se quasi la totalità dei servizi e delle attività ha riaperto i battenti. Anche la più nobile delle raccomandazioni non è più coerente con quanto succede accanto a noi.
Il mondo sta ripartendo, il calcio no. La vita sta riprendendo piano piano, il calcio no. Immobile, inerme, inghiottito da dinamiche politiche che con la sicurezza non hanno nulla a che vedere. Quello che sta accadendo a Roma e in ogni angolo d’Italia è evidente, è sotto gli occhi di tutti e lo abbiamo documentato in prima persona, con le immagini raccolte ad inizio della scorsa settimana. I più giovani, senza scuole e centri sportivi, punti di riferimento sacrosanti improvvisamente strappati alla loro quotidianità, una volta avuto il via libera si sono riversati in strada. Così i parchi e i cortili sono diventati una sorta di palliativo, luoghi di ritrovo sociale, dove poter riabbracciare i propri amici e l’amore adolescenziale, dove poter praticare sport. Completamente incontrollati perché incontrollabili, perché sono tanti, sono tutti. Impensabile fermarli, la foto in apertura è la testimonianza più tangibile di quanto affermiamo: una pattuglia della polizia che passa davanti ad un numeroso assembramento senza neanche prestargli attenzione. Nè riceverla. Nessun controllo, nessun protocollo da adottare. Eppure la sicurezza ci impone di non riaprire i centri sportivi.
I club dilettantistici e giovanili disposti a ripartire con tutti gli accorgimenti del caso sono numerosi, già allestiti per riaccogliere i loro atleti in erba nel controllo più totale, con la possibilità di gestire distanze che nessuna palestra, o piscina, è in grado di garantire. Invece tutto resta ancora avvolto da un silenzio surreale, che ora dopo ora viene colmato da un’insofferenza sempre più rumorosa e comprensibile. Perché non dare la possibilità di far tornare migliaia di ragazzi a praticare sport in luoghi evidentemente più sicuri di un parco comunale? Uno spazio dove gli istruttori possono garantire disciplina e osservanza di norme civiche che sembra ci dovranno accompagnare ancora a lungo, dove la temperatura corporea sarebbe monitorata quasi costantemente, dove disinfettanti e servizi di igiene sono senza dubbio più funzionali di quelli che possiamo trovare in qualsiasi luogo pubblico. Perché non permettere a bambini e adolescenti di riappropriarsi degli anni più spensierati della loro vita? Eppure basta semplicemente alzare un attimo gli occhi per capire che il pericolo più grande, dopo quasi tre mesi di restrizioni, non è sicuramente all’interno degli impianti. È arrivato il momento di chiederlo tutti insieme, a gran voce, senza nessuna remora. È il momento di chiederlo a gran voce, in loro nome: ridategli il pallone.
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