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l'intervista
06 Novembre 2020
Mario Lenzini è un volto noto del panorama calcistico laziale. Dopo anni e anni su tante panchine, passando dal settore giovanile alle prime squadre, da due stagioni si è rimesso in gioco con un progetto, quello del Parioli Calcio, che lo coinvolge in prima persona insieme alla sua famiglia, per creare un nuovo polo a Roma nord. Fuori dal campo possiede due attività, tra cui il ristorante Quelli di Archimede in zona Salario: in entrambi i casi, calcio e ristorazione, l’ultimo Dpcm ha colpito duramente.
Il pallone “Per quanto riguarda il lato calcistico, io credo che ci sia davvero molta confusione, anche nelle Istituzioni stesse. Basti vedere per esempio la poca chiarezza sulla recente questione degli allenamenti: prima in forma individuale, poi non si potevano fare, ora infine pare che sia tutto come prima e che i ragazzi possano tornare nei centri sportivi - esordisce l’attuale allenatore del Parioli - Anche poi con i Decreti uno dopo l’altro, c’è un po’ di caos. Detto questo, resta il fatto che la salute è la cosa più importante di tutte e se il Governo ha deciso di chiudere allora va bene, ma poi che si rimetta tutto in moto velocemente, questa è la nostra speranza perché altrimenti diventa dura andare avanti. Il Covid è una cosa troppo seria, a livello mondiale, non è un problema solo italiano ed in questo momento è più importante del calcio: noi dobbiamo rispettare i protocolli e premere affinché si riapra tutto il più velocemente possibile. Chi fa calcio deve cercare di resistere e farsi trovare pronti e comportandosi seriamente”. Ecco, il tecnico romano punta i riflettori su qualche atteggiamento che disapprova: “Non vorrei che qualcuno abbia in mente di marciare su tutta questa situazione, sento un po’ puzza di bruciato. Già c’è qualcuno che dice ‘Fermiamo tutto, non riprendiamo i campionati’ oppure ‘Così non si fa, questi sono campionati falsati’: ritengo che il Covid sia una questione troppo seria per farla passare per degli errori personali - spiega, aggiungendo poi - Siamo alla quinta giornata stagionale, c’è chi ha giocato due partite, chi cinque, chi tre e così via ed è troppo presto per trarre bilanci. Vedo parecchi addetti ai lavori che già si sono buttati avanti per cascare poi indietro, tanto per intenderci: squadre con pochi punti in classifica che si lamentano, ma vorrei vedere se lo facessero con un’altra posizione in graduatoria. Poi siamo d’accordo, non si tratta di un campionato normale, però bisogna esser corretti, almeno tra di noi, senza cavalcare l’onda e voler buttar tutto all’aria strumentalizzando. Se manca pure il rispetto tra club è davvero finita, visto che di problematiche già ce ne sono tante tra sponsor che scarseggiano, attività che chiudono e gente, anche nelle alte sfere, che pensa a tutto tranne che allo sport”.
L’attività Calcio per il momento fermo, al di là della Serie D, e fuori dal campo la situazione è allo stesso modo complicata, viste le recenti disposizioni governative. Tra il lock-down primaverile e questo nuovo stop, l’ambiente è tutt’altro che legger: “La prima quarantena è stata una cosa inaspettata per tutti. Nessuno ci era abituato e si andava avanti con la speranza che finisse presto, contando poi di rimettersi in piedi con questi mesi autunnali. Si cantava sui balconi e quasi sembrava che fosse stata presa come una pausa dalla quotidianità, come un periodo diverso da sopportare - continua Lenzini - A noi ha creato subito problemi enormi perché quando un’attività viene chiusa per tre mesi il problema è serissimo, non serio. Casse integrazioni e introiti che non arrivano e proclami da parte del Governo: c’è gente che ancora non ha preso alcun contributo. Ognuno tira l’acqua al proprio mulino, ma credo che i ristoranti, insieme ad alberghi e locali vari, siano le attività più colpite e penalizzate. Poi non sono vere molte cose che ho sentito dire: che sugli affitti, sulle tasse, con i fornitori alla fine ci si viene incontro in una situazione come questa, perché molte persone non sono comprensive quando devono guardare ai propri interessi e inoltre non si può mandare all’aria la reputazione costruita negli anni in un certo settore”. Le conseguenze sono semplici da immaginare: “Alla fine si sta in silenzio e succede che si anticipano soldi di tasca propria. Ci diciamo che c’è da combattere e resistere fino al giorno della riapertura e quando questo finalmente arriva, bisogna spendere altri soldi tra plexiglas, sanificazioni, distanziamento e adeguamenti e in più occorre rispettare molti vincoli. E ci si accorge che è un palliativo, in realtà è una falsa riapertura: perché in estate la gente a Roma non c’era, i turisti figuriamoci e quindi ci sono state altre uscite, dovendo tenere anche il personale, e poche entrate. E ora che finalmente le cose si stavano raddrizzando a settembre, subire nuove imposizioni ed un nuovo tipo di chiusura a ottobre-novembre equivale quasi a una catastrofe, economicamente parlando”.
Le conseguenze Nel frattempo monta l‘insofferenza e la preoccupazione ed iniziano le manifestazioni in piazza. “Personalmente condanno ogni forma di violenza come quelle in cui sono sfociate alcune recenti manifestazioni, ma così la situazione, per quanto riguarda il mio settore cioè quello della ristorazione, è drammatica e la gente inizia ad esser disperata - rimarca con schiettezza - Dietro ad un impresa c’è l’imprenditori più tante altre persone, e se il proprietario non ce la fa alla fine ci rimettono anche tutti gli altri. Poi in giro si vedono moltissime attività chiuse, alcune che non hanno proprio riaperto dopo la quarantena: quindi meno persone per strada e di conseguenza meno clienti nel locale. E pure se ci fosse gente in giro c’è da fare i conti con la paura di entrare in un luogo chiuso. La salute è la cosa più importante, su questo non ci piove, ma se stavolta non ci saranno interventi seri dalle Istituzioni, sarà veramente dura”. Non aiuta l’ultima imposizione di chiusura alle ore 18.00: “Mi sembra francamente una presa in giro. Tutti sanno che bar e ristoranti fanno la maggior parte dell’incasso la sera: se mi chiudi alle 18 è una mazzata. Si parla di asporto come soluzione, ma è un’opzione che arricchisce solo le multinazionali che oggi fanno delivery e che riduce ancor più l’abitudine e la voglia nelle persone di uscire per mangiare. Si percepisce ansia e paura e le masse si stanno incattivendo”. Per porre rimedio e mandare avanti la baracca, come si suol dire, si arriva purtroppo a decisioni dolorose: “Io sicuramente sarò costretto mandar via delle persone e dovrò fare i conti con due attività che vanno a rilento, perché il lavoro adesso è poco. In strada non si vedono persone e noi in qualche modo dovremo resistere e andare avanti, non mi posso certamente bloccare, altrimenti io per primo dovrò andare a dormire a casa di qualcuno - conclude Mario Lenzini - Questa è davvero la situazione dell’80% dei ristoratori. La speranza è che ci sia questa volta un sostegno serio dal Governo che possa rimettere tutto a posto, perché sennò saranno moltissime le attività ad andare a gambe all’aria. E la conseguenza sarà rabbia, disperazione e indignazione, anche da parte della gente più calma, che magari in questi primi giorni mantiene il controllo. La situazione è pericolosa”.
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