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Alberto Aquilani: "Spes Montesacro, Fiorentina e giovanili. Ecco il mio pensiero"

L'intervista integrale al presidente della Spes Montesacro, che attualmente ricopre anche l'incarico di allenatore della Primavera della Fiorentina

11 Gennaio 2023

Alberto Aquilani (Foto ©Spes Montesacro )

Alberto Aquilani (Foto ©Spes Montesacro )

Un cerchio che si chiude. Lo ha definito così il suo ritorno alla Spes Montesacro. Dove tutto è possibile, richiamando il motto del club, per Alberto Aquilani è diventato presto realtà. Un ritorno da re, per quel Principino che, partito da Via dell’Ateneo Salesiano, ha conquistato i migliori palcoscenici d’Italia e non solo. L’affermazione alla Roma, con cui ha vinto due Coppa Italia e una Supercoppa, poi la partenza verso Liverpool e allora Juventus, Milan, Fiorentina, Sporting Lisbona, Pescara, Sassuolo e Las Palmas. L’addio al calcio nel 2018 e subito la carriera da allenatore con l’Under 18 viola. Nel frattempo il ritorno a casa, alla Spes Montesacro, ma questa volta dall’altro lato della scrivania nel ruolo di presidente.

Hai preso in mano la Spes nel 2019: perché questa scelta?
“Diciamo che non avevo intenzione di acquistare una squadra di calcio, quando però mi è stata proposta la Spes Montesacro non ci ho pensato su due volte. Fondamentale anche il supporto del mio amico Alessio che mi ha definitivamente convinto. Lì ho mosso i primi passi, avevo 7 anni, sono rimasto per due stagioni prima della chiamata della Roma. Un ricordo indelebile. Così quando ho avuto la possibilità è stato un colpo di fulmine, la chiusura di un cerchio. Tornare in un secondo a trenta anni prima”.

Anche grazie ad uno staff dirigenziale e tecnico di altissimo livello, in pochissimo tempo sei riuscito a riportare tutte le categorie giovanili nel massimo campionato, ovvero l’Elite: cosa ti senti di dire a questo proposito?
“La priorità era riportare innanzitutto entusiasmo all’interno della Spes Montesacro, con il mio ingresso non mi sono focalizzato sui risultati, anzi quelli erano l’ultimo dei pensieri. L’obiettivo principale era far sì che i bambini fossero felici. Nei piani c’era di creare un ambiente ideale per crescere, con struttura e campo nuovi, con tutta una serie di attenzioni per gli iscritti. Proprio per questo motivo l’investimento primario è stato rivolto alla riqualificazione dell’area spogliatoi, degli spazi comuni e così via. Il primo anno mi fu proposto di iniziare subito con l’Elite, potevamo prendere il titolo ma non era il mio obiettivo, l’Elite dovevamo conquistarla sul campo. Oggi, dopo due anni, tutte le categorie sono nel massimo campionato regionale. Vuol dire che è stato fatto un lavoro straordinario, che queste categorie ce le siamo sudate, nessuno ha regalato niente ai ragazzi. È stata una bellissima soddisfazione, anche se ribadisco che le categorie contano ma fino a un certo punto. L’importante è sempre e comunque avere un programma tecnico che veda il miglioramento dei giovani giocatori”.

Subito dopo il tuo arrivo, anzi ritorno, alla Spes Montesacro, una pandemia che poteva complicare tutto, invece siete ripartiti alla grandissima. Quali sono stati i segreti per mantenere intatto un processo di crescita che poi non ha fatto altro che proseguire a gonfie vele?
“Il Covid è stato un colpo basso e inaspettato che ha danneggiato tutto e tutti. Per noi, come per le altre società sportive dilettantistiche, è stato un periodo complicatissimo, più che altro perché non sapevamo cosa potesse accadere. Se siamo riusciti a gestire tutto nel migliore dei modi il merito va a quelle tantissime figure interne alla società che non hanno sbagliato niente. Abbiamo rispettato le norme con pazienza, dato vita ad allenamenti ad hoc in base alle decisioni del governo, aspettando giorni migliori. Durante la pandemia abbiamo realizzato sessioni video per tenere i ragazzi in contatto, per parlare di aspetti che di solito non si trattano nella frenetica vita quotidiana. Alla ripartenza è stato tutto più semplice, avevamo lavorato bene prima e ci siamo ritrovati subito a buon punto. Tutto questo, e non solo, è accaduto anche e soprattutto grazie al direttore Attilio Ortenzi e lo staff. Colgo l’occasione per ringraziarli, così come ringrazio di cuore mia sorella Monica, una figura fondamentale per me che dà anima e corpo a questa causa”.

A proposito di crescita… I miglioramenti degli ultimi anni sono stati abbastanza evidenti sul piano calcistico, ma anche gestionale. L’affiliazione con la Fiorentina, a questo proposito, è eloquente. Che margini ha ancora questo club?
“Credo che, come in tutti gli aspetti della nostra vita, anche per una società sportiva non ci sia mai il raggiungimento della perfezione assoluta. C’è sempre qualcosa da migliorare. Nel caso specifico penso ad esempio a strutturare ulteriormente la società, conferire maggiore organizzazione e programmazione, il tutto affinché i ragazzi possano vedere la Spes Montesacro come il massimo. L’affiliazione con la Fiorentina è un aspetto importante, c’è uno scambio continuo tra le varie figure tecniche, i ragazzi che salgono a Firenze per degli stage…"

All’interno del centro c’è una frase emblematica: il risultato conta solo in prima squadra, nelle giovanili non vale niente… Allo stesso tempo, però, i risultati siano comunque importanti per la crescita di una società. Come si trova il giusto equilibrio tra focus sui miglioramenti dei calciatori e ricerca del risultato? E, soprattutto, l’uno deve per forza escludere l’altro?
“Il risultato è importante in qualsiasi gioco, non esiste una squadra che gioca per perdere. Tutto sta nel cercare di non far diventare la vittoria un’ossessione. Quello che conta è il processo e i miglioramenti, che non sono altro che la causa dei successi. L’ossessione deve essere il miglioramento. Questa è la mia idea che ho cercato di trasmettere a tutta la Spes Montesacro. La vittoria però deve entrare nelle corde di chi fa sport. Per vincere devi essere preparato, migliorare, colmare le lacune. Sono tutti aspetti che si intrecciano. È fondamentale crescere come uomini attraverso il rispetto altrui e delle regole, lavorare bene in campo, poi se c’è la possibilità di fare qualcosa in più perché no”.

Visto il tuo doppio impegno come presidente della Spes Montesacro, ma anche come allenatore della Primavera della Fiorentina… Quali differenze ci sono tra professionismo e dilettantismo?
“Parlando di un settore giovanile come quello della Fiorentina c’è molta più selezione, anche un investimento più importante. Alla fine della piramide troviamo una squadra di un valore altissimo, quindi l’obiettivo è quello di nutrire i grandi con il vivaio. Nel calcio esistono degli step, quando giocavo alla Spes Montesacro avevo delle ambizioni, andando alla Roma ne avevo altre. Magari senza Spes non sarei andato alla Roma. Tutti abbiamo un percorso, anche il giocatore più forte al mondo è partito dalla squadra del quartiere. Club di questo genere rappresentano una culla che ti accompagna nel cammino. Se il percorso non arriverà all’apice, allora resterà un qualcosa di familiare che ti dà tantissime cose come rispetto, educazione e il saper stare al mondo".

C’è un tema sempre molto dibattuto: allenatori giovani ed allenatori ex calciatori. Tu, a differenza di tanti altri subito lanciati nel grande calcio, hai fatto e stai continuando a fare gavetta nelle giovanili. Credi sia questo il percorso migliore per crescere come tecnico? 
“Diciamo che è stata una scelta personale. Quando ho deciso di iniziare questo percorso sentivo il bisogno di capire e di sperimentare se quello che pensavo fosse fattibile. Per me la soluzione migliore era con i ragazzi, non troppo piccoli né troppo grandi. L’Under 18 era una categoria intermedia perché volevo dei giovani che mi dessero la possibilità di capire alcune cose, ma allo stesso tempo calciatori che apprendessero ciò che dicevo. La Primavera è sempre settore giovanile ma si avvicina molto al calcio dei grandi. Innanzitutto perché è l’ultimo step del vivaio e poi per i vari aspetti legati al professionismo: campionato con retrocessioni, regole da rispettare, contratti, giocatori che iniziano ad assaporare la Serie A. Per quanto mi riguarda questa è la categoria perfetta per aumentare il bagaglio che sto costruendo nel tempo. Mi sta facendo molto bene, ho capito che alcune cose erano giuste, altre le ho cambiate, per altre ancora magari ho cercato una strada alternativa rispetto a quella prefissata. Non mi sento di giudicare il percorso di altri, se si ha la possibilità di fare subito qualcosa di importante è difficile rifiutare”.

Da quando sei passato in Primavera in ogni stagione hai vinto qualcosa (tre Coppa Italia Primavera e una Supercoppa Primavera, ndr), il soprannome The Special Cup non è arrivato per caso…
“Come accennavo prima lavoro con un gruppo di giovani che sono ad un passo dal calcio dei grandi. Si tratta di settore giovanile, certo, ma raggiungere degli obiettivi è importante. Le coppe non possono mai essere il focus principale, la crescita dei ragazzi invece lo è. Tutto sta nel percorso. Alla Fiorentina non arrivano calciatori già pronti, li costruiamo dalle categorie più basse tanto che la maggior parte sono toscani. L’obiettivo è creare delle risorse per la prima squadra e per il club in generale. Poi quando arrivano le coppe è bello e gratificante, ma le vittorie sono una conseguenza”.

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