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l'intervista
Il presidente di Asilo Savoia descrive il suo nuovo ruolo nella Polisportiva e come con la nuova iniziativa la managerialità sarà completata e rafforzata oltre a parlare a tutto tondo del calcio laziale
14 Giugno 2023
Massimiliano Monnani (Foto ©GazReg)
La mancata confisca ed il futuro del Montespaccato
È arrivata la retrocessione in Eccellenza, come impatta questo risultato sportivo negativo sul progetto sociale dell'Asilo Savoia a Montespaccato?
“Un risultato agonistico, come tutti i risultati, porta con sé delle valutazioni e degli elementi che possono essere impattanti su un progetto. Non essendo però il Montespaccato una società sportiva tradizionale, impatta in maniera completamente differente. E poi ad un risultato negativo fa da contrappunto quello straordinario delle ragazze. È la chiusura di un ciclo e lo stimolo ad aprirne un altro ancora più sfidante; questo è stato un anno sicuramente particolare, segnato da una situazione extra campo, non occupandomi personalmente della sfera tecnica, molto difficile da gestire”.
Si riferisce al procedimento tutt'ora in corso?
“Il 29 settembre scorso c'è stata una sentenza della Cassazione che fondamentalmente ha riportato indietro le lancette di due anni, questo ha creato una situazione di fibrillazione, sia nel quartiere, con riferimento a quegli ambienti che sono rimasti legati al contesto nel cui ambito si è dispiegata l'operazione delle forze dell'ordine, sia nel club”.
Situazione sicuramente destabilizzante.
“Si, un elemento ambientale che ha introdotto una situazione di instabilità e transitorietà che è stata vissuta con preoccupazione. Questa sensazione di rischio del ritorno della Polisportiva al passato è stato avvertito maggiormente dalla prima squadra, a differenza di giovanili e scuola calcio che hanno una dimensione più ludica e aggregativa. Non dico che il risultato è stato influenzato da quanto accaduto ma certamente ha costituito un fattore di squilibrio”.
Per fortuna però si è arrivati a una soluzione, di concerto con le istituzioni.
“Si, ma purtroppo è arrivata tardi rispetto ai tempi della stagione sportiva, quindi non ha portato quel rasserenamento e quella tranquillità circa la continuità dell'attività della Polisportiva, che sarebbero stati necessari non ad Aprile inoltrato ma a Settembre”.
Siete rimasti sorpresi da questa sentenza?
“Dal nostro punto di vista era assolutamente imprevedibile, poi è arrivata a inizio stagione. Abbiamo cercato di non renderla pubblica proprio perché abbiamo sempre cercato di tenere separata la vicenda sportiva da quella giudiziaria, anche se ovviamente chi era interessato a creare disturbi ne ha subito distorto il contenuto presentandola volutamente come un ribaltamento dell’intera vicenda processuale”.
Chiusa la stagione, arrivata la retrocessione, si apre il mercato dei titoli. Il Montespaccato proverà a ripresentarsi ai nastri di partenza della Serie D nella prossima stagione?
“Non ho mai accettato l’idea che una società salga di categoria “acquistando” un titolo da altri. È la negazione del principio del merito sportivo e rappresenta innanzitutto un tradimento nei confronti della comunità e dei tifosi ai quali quel titolo, conquistato sul campo, viene indebitamente sottratto. Cosa diversa è il ripescaggio che segue precise regole ed è basato su dati di fatto. In ogni caso conclusa la campagna di azionariato, io che non sono mai stato Presidente del Montespaccato ma dell'Asilo Savoia, avrò un ruolo ancora più distaccato dai livelli direzionali del Montespaccato, anche se oggi il club è al 100% proprietà di Asilo Savoia”.
Cosa cambierà esattamente?
“Un conto è detenere la proprietà di una società sportiva, altro è gestirla. L'approccio di Asilo Savoia, che è un'azienda pubblica, è garantire la continuità del progetto costituendo una governance in grado di preservarne l’identità sportiva, sociale e territoriale a prescindere da chi ne è proprietario, così come la Palestra della Legalità e quella della Salute. Per questo ho sempre rifiutato il termine patron, che si usa per consuetudine al fine di indicare il protagonista o proprietario del progetto sportivo. Non c'è nulla di più lontano dal nostro lavoro, che con l'azionariato popolare trova un primo sbocco, ossia quello di costruire una governance partecipata, inclusiva e resiliente sul territorio, che è un percorso irreversibile”.
Quindi bisognerà attendere il termine della campagna di azionariato per capire, in base alle nuove quote sottoscritte, chi entrerà nella governance del Montespaccato?
“Si e mi auguro che fin dall'inizio ci sia un approccio autonomo e proattivo, senza ricorrere troppo ad eventuali indicazioni del sottoscritto. La gestione è legata a una managerialità che – sebbene molto giovane - in parte è già stata costruita in questi anni e che ora dovrà essere completata e rafforzata proprio grazie all'azionariato popolare.
Pertanto chiunque acquisti quote in questa fase potrà poi avere, in misura più o meno significativa, un reale ruolo decisionale in quelle che saranno le scelte sportive e tecniche, ferma restando l’autonomia operativa degli allenatori”
Il Montespaccato potrebbe pertanto provare a presentare il ripescaggio?
“Pur essendo io contrario al ripescaggio, come affermato prima, non è detto che lo sia anche la nuova governance che si insedierà dall'1 luglio. Se tra gli azionisti ci sarà una realtà imprenditoriale che avrà voglia di provare a cimentarsi con la domanda di ripescaggio per la Serie D dovrà essere considerata. In ogni caso ascolteremo come sempre le istanze del quartiere, a partire dai soci, magari anche con una sorta di piccolo referendum”.
“Crescita nel quartiere”. Quindi si al ripescaggio, no a spostamenti di sede o fusioni con realtà distanti? Cosa che capita nel mercato dei titoli.
“Molti anni fa ho avuto esperienze politiche, quando i partiti tradizionali iniziavano a fare i tesseramenti si parlava dei cosiddetti “palazzi con le rotelle” che si spostavano da una parte all’altra a seconda delle necessità. Nel calcio ormai sta accadendo lo stesso con “titoli” che si spostano da una parte all’altra senza alcun rispetto per la storia sportiva di territori e tifosi. A me questa realtà fa anche un po' paura, questa disinvoltura nel cambiare denominazioni, effettuare accorpamenti, scissioni, fusioni, mutazioni costanti nel tempo, dà l'idea che non ci sia un'identità sportiva e territoriale e che la ragione vera sia addirittura estranea al calcio giocato.
Perché succede secondo lei?
“Non lo so, questo presumo sapreste spiegarlo meglio voi che vi occupate di calcio a livello giornalistico. Questi club hanno delle etichette che variano a seconda del momento. Non sto facendo valutazioni etiche, però credo che lo sport a livello dilettantistico debba necessariamente avere un forte elemento di identità territoriale. In ogni caso credo che le autorità sportive competenti dovrebbero rivedere e limitare ad oggettive ragioni e situazioni limite il ricorso a tali procedure, che impoverisce i territori e azzera progressivamente la presenza delle tifoserie. Per noi una società sportiva senza radicamento nella comunità e nel territorio di cui porta il nome non ha alcuna ragion d’essere e nemmeno un senso logico. In altre parole il Montespaccato Calcio può esistere finché c’è una comunità che si identifica nelle sue gesta sportive.
E i risultati sono straordinari.
“Avevamo e abbiamo un obiettivo più ampio di quello sportivo, quello di creare, grazie al calcio, dei luoghi in cui far crescere la partecipazione giovanile nelle periferie, includere e prevenire le situazioni di disagio sociale, in cui offrire dei contesti di ricostruzione e un senso civico di appartenenza utilizzando la forza identitaria della squadra. E direi che ci siamo riusciti”.
In foto uno scatto del Don Pino Puglisi
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