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L'intervista
28 Giugno 2018
Maurizio Rossi © Gazzetta Regionale
Maurizio Rossi è pronto a riprendersi quel che gli spetta. Uno dei Commissari Tecnici più vincenti della storia del Torneo delle Regioni - quattro titoli nel calcio a 11 conquistati nelle quattro diverse categorie - aspetta l'occasione giusta. Per l'ultima volta però, altrimenti è pronto a prendere i suoi titoli italiani conquistati con il Cr Lazio, infilarli nel bagaglio, e ripartire dagli Stati Uniti. Una scelta drastica ma che, in mancanza di un progetto serio, diventa inevitabile per un allenatore che per anni ha recitato un ruolo da protagonista. L'entusiasmo è quello di sempre, anche se con gli anni è aumentata la diffidenza, soprattutto dopo le sfortunate esperienza post via Tiburtina. Con il tecnico ripartiamo proprio da quegli ultimi mesi alla guida delle rappresentative laziali, per arrivare ad oggi, estate cruciale per le sue scelte future.
Maurizio, da dove iniziamo per raccontare l'ultimo periodo della tua vita sportiva?
“Dal penultimo anno con il Cr Lazio, nel 2014, quando vinciamo il Wojitila, il Torneo delle Regioni e conquistiamo la finale del Caput Mundi persa ai rigori contro l'Italia Under 18. Nel 2015 invece, arriva la disfatta in Lombardia con i '96, una classe che aveva già vinto Allievi e Giovanissimi. È in quel momento che si rompe qualcosa”.
Una spedizione davvero amara"
“Sì, sia per il risultato finale, sia per come è stata vissuta la lunga vigilia. In quella stagione il TdR si disputava a fine maggio, inizio giugno, e da noi i campionati erano terminati da oltre un mese. In una Rappresentativa puoi avere tutto il talento che vuoi, ma se non corri vai fuori e noi, dalla conclusione delle stagioni ufficiale al Torneo delle Regioni abbiamo svolto solo un raduno, a Grottaferrata. Nient'altro. Eravamo davvero senza gamba, fisicamente catastrofici. Non dimenticherò mai i messaggi e le chiamate dei ragazzi che volevano effettuare qualche seduta di preparazione. Peccato, è andata così”.
Dopo la Lombardia arrivano le tue dimissioni da Commissario, poco dopo l'addio definitivo al Cr Lazio.
“Mi è dispiaciuto. Se penso a Stradacalciando ai Fori Imperiali, a Calcio in Erba all'Olimpico quando abbiamo dovuto aprire anche i Distinti per la troppa affluenza. Eventi straordinari dal punto di vista organizzativo e di numeri. C'è stata una discussione con il presidente Zarelli, ho chiesto spiegazioni su alcuni aspetti che non riuscivo a tenermi dentro e intorno al 20 settembre, su richiesta del Comitato, il rapporto si è chiuso”.
Da quel momento in poi non hai vissuto le esperienze migliori, lavorativamente parlando.
“A Latina, con i Nazionali, è andata come tutti sappiamo con il fallimento del club. Anche alla Fortitudo Velletri, in Promozione, ho dato tutto me stesso: eravamo usciti dalla zona retrocessione, stavamo compiendo un miracolo e poi la mancanza di fondi non ha permesso di andare avanti. Infine l'Udinese Academy, dove ricoprivo il ruolo di responsabile del Centro Italia. Anche questa esperienza è terminata a Marzo per motivi che nulla hanno a che vedere con il campo e sono stato costretto a lasciare”.
Esperienze sfortunate, che non ti hanno fatto perdere l'amore per la panchina.
“Amo stare in panchina, creare un rapporto con i ragazzi, vederli crescere e aiutarli nel loro percorso, l'adrenalina della partita. Non importa la categoria, l'età, la zona: penso di aver dimostrato qualcosina negli anni, ma più del prestigio cerco un progetto solido, stabile, dove lavorare con continuità e nell'interesse dei giovani”.
Allenatore o Commissario Tecnico: cosa preferisci? Nel ruolo di selezionatore hai vinto quattro Tornei delle Regioni in quattro categorie diverse.
“Sì, mi continuano a dire che ho scritto la storia del TdR, ma non ho mai ricevuto chiamate da nessuno! (ride, ndr). Scherzi a parte, è sempre stato il mio sogno fare il salto in LND, non riesco a darmi una spiegazione. Uno dei problemi con il presidente Zarelli nasce anche da queste mie ambizioni. Però credo che nel calcio, come in tanti aspetti della società odierna, non esista più la meritocrazia. Oggi valgono di più i contatti ed evidentemente io non ho quelli giusti”.
I risultati non bastano.
“Purtroppo no. Almeno, a me non sono bastati, mi sarei aspettato uno scenario diverso. Se non accade evidentemente ci sono anche altre situazioni che condizionano le scelte dei vertici federali. Sicuramente non basta vincere, ma conoscere le persone giuste nel momento giusto”.
Non pensi che questa problematica sia una delle cause principali dell'impoverimento del nostro calcio?
“Assolutamente sì. In questo ultimo anno con l'Academy ho viaggiato molto e ho incontrato poche persone valide. Se non ci mettiamo in testa che i nostri bambini devono essere seguiti da figure qualificate, e non da chi non ha nessuna padronanza della metodologia che è necessaria per aiutare a crescere un bambino calcisticamente e umanamente, allora non usciremo mai da questo momento difficile dei nostri vivai”.
É uscito un nuovo regolamento in questo senso: potrà aiutare?
“Se lo fanno rispettare, può essere un primo passo. Ma devono farlo rispettare”.
Altra innovazione le Squadre B: che ne pensi?
“Penso sia una rivoluzione che possa aiutare la crescita dei nostri giovani. Basti pensare ai benefici che hanno portato a paesi come Spagna e Germania. Certo, anche qui devono esserci regole che permettano di favorire un percorso di crescita. Devono restare un investimento, non un interesse”.
E i Centri Tecnici Federali?
“Questo è un aspetto particolare. Forse vogliamo imitare gli altri, ma dobbiamo essere bravi anche a copiare. Non so se abbiamo voluto copiare la Germania, ma non ci siamo riusciti. Resto dell'idea che bisognerebbe dare più autonomia alle delgazioni Provinciali, creare Rappresentative Under 12, 13 e 14 e lavorare sui migliori talenti. La riforma così com'è serve a poco, non si riesce a controllare il territorio in maniera capillare come dovrebbe essere fatto”.
Hai già ricevuto proposte che ti hanno stimolato?
“Qualche contatto c'è stato, ma niente di concreto. L'esperienza degli anni passati mi ha fatto diventare diffidente, trovare un progetto serio è difficile. Se la situazione resta come quella attuale ripartitò dagli Stati Uniti, mi rimetterò in discussione”.
Ripartire da zero, però, non ti ha mai fatto paura e in USA già hai avuto qualche esperienza.
“Sì, è il paese della mia compagna e ho collaborato con i Campus per tre anni di fila, questo mi aiuta. Non voglio paragonarmi ai nostri laureati che sono costretti ad andare via perché non hanno futuro nel nostro paese, ma anche nel calcio, se le cose non cambiano, finirà così. I migliori se ne andranno”.
Quando hai allenato oltreoceano, quali caratteristiche ti hanno sorpreso maggiormente?
“L'aspetto fondamentale, e che dobbiamo ritrovare il prima possibile, è l'autonomia del bambino. Durante gli allenamenti in America nessun genitore assiste alle sedute, accompagnano i figli alle 8 di mattina e li vengono a riprendere la sera. Da noi i più piccoli imparano che se hanno una difficoltà ci sono mamma o papà pronti a risoverla al posto loro. Così non si aiuta a crescere, anzi. Inoltre sono rimasto stupito dall'assenza totale di recinzioni. In Italia, purtroppo, è un aspetto culturalmente irrealizzabile. Servirebbe un processo molto lungo”.
Partire sarebbe un fallimento?
“Più che un fallimento una sconfitta. Non ho la presunzione di venir ingaggiato da chissà chi, ma vorrei avere l'opportunità di poter dimostrare di nuovo le mie capacità. In questi anni ho studiato, lo scorso anno ho conseguito anche il patentino UEFA A e voglio rimettermi in gioco con il solito entusiasmo. Amo il calcio, amo i ragazzi e sono convinto di avere ancora qualcosa da dare. Altrimenti me ne andrò”.
E sarebbe un vero peccato.
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