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l'intervista
08 Ottobre 2018
Tavecchio ha lasciato la presidenza della FIGC una settimana dopo la disfatta con la Svezia ©Getty Images
È un Carlo Tavecchio lontano dai riflettori, ma che risponde con partecipazione e spirito critico alle nostre domande sulla situazione del calcio italiano a quasi un anno da Italia-Svezia. L’ex numero uno della FIGC, lasciato l’incarico dopo sette giorni dalla disfatta azzurra nello spareggio qualificazione, torna a far sentire la sua voce e lo fa attraverso i nostri microfoni. Elezioni federali, CONI, diritti TV e calcio femminile alcuni dei temi trattati con l’energico presidente dimissionario, che ha ripercorso con noi gli ultimi 11 mesi di vicende calcistiche, non senza un pizzico di ironia e con toni per certi versi accesi.
Presidente, vengo subito al dunque: sacrificato l’agnello, com’è la situazione del calcio italiano dopo un anno? Cos’è cambiato secondo Lei?
“La situazione la vedete, non c’è bisogno che la illustri io. È evidente. I campionati sono partiti, siamo ad ottobre. La giustizia sportiva sta valutando tutti i ricorsi, contro ricorsi, TAR, non TAR, collegio di garanzia, corti federali: tutto. È un sistema che è stato gestito nell’intento di recuperare una credibilità che credevano persa, ma i tentativi hanno influito in maniera negativa”.
Lei aveva intenzione di continuare nel suo incarico, ma è venuta a mancare la fiducia. Ci può dire per quali motivi è stato sfiduciato? E perché nessuno del Consiglio Federale si è dimesso?
“L’obiettivo più importante che ha una federazione dal punto di vista agonistico è partecipare ai Campionati del Mondo, la competizione che mette in mostra i valori di una nazione, e la partita con la Svezia è stata un insuccesso. A questo punto, il problema fondamentale era che fra tutte le altre componenti del sistema, nessuno si era dimesso. Tutti volevano restare al loro posto, intraprendere un discorso nuovo; ma bisognava portare avanti qualcosa che dimostrasse al popolo italiano che c’erano delle responsabilità. Di fronte a tutto ciò, ho preferito io fare il gesto delle dimissioni e mettere la Federazione nelle condizioni di andare a nuove elezioni. Inoltre, tenga presente una cosa: io ho lasciato quello che nessuno in precedenza aveva ottenuto. Ci sono quattro posti in Champions League, non sono mai stati ottenuti dalla FIGC; l’Italia ospiterà gli Europei Under 21 (16-30 giugno 2019 ndr) e il campionato europeo avrà quattro partite a Roma, cosa che non hanno le altre nazioni; abbiamo ottenuto il VAR e siamo stati i primi ad ottenerlo; e abbiamo messo due dirigenti nell’ambito della FIFA e della UEFA (Christillin e Uva, ndr). Questo è un risultato notevole, unito al fatto che amministrativamente la Federazione aveva una buona, anzi, ottima, liquidità nonostante le decurtazioni del CONI, che tutti sanno. Questi sono fatti reali che nessuno può contraddire. Il risultato sportivo non è venuto, nessuno ne ha preso coscienza e mi sembrava corretto che lo facesse il presidente federale: tutto qua. Poi i fatti li conoscete più voi di me”.
A dicembre il CONI ha preso in mano la situazione, non essendo stato eletto il presidente della Lega Serie A, e a gennaio il commissariamento è diventato ufficiale. Cosa pensa dell’operato di Roberto Fabbricini fino a questo momento?
“L’operato di Fabbricini lo giudicheranno tutti gli sportivi italiani. Dal punto di vista dei risultati, mi sembra lampante che la Federazione non abbia ottenuto quello che sperava di ottenere”.
Questione diritti tv, un Suo parere sul dualismo Sky-DAZN: non si poteva trovare una soluzione più conveniente per gli spettatori?
“Innanzitutto, tutti erano negativi sul fatto di non riuscire ad ottenere gli importi, in realtà poi il calcio italiano è stato pesato bene perché 1 miliardo e 50 circa non era roba di poco conto. La questione sul dualismo, beh, sicuramente spezzettare così tutte le partite al tifoso crea fastidi e, devo essere sincero, difficoltà per guardarle. Quindi, non credo sia una cosa molto conveniente per lo spettatore”.
Il calcio italiano deve ripartire dal nuovo presidente FIGC, da Roberto Mancini o dai settori giovanili?
“Si sta dimenticando da cosa sia costituito il calcio italiano. Questo è composto da 15mila associazioni dilettantistiche, che hanno 1 milione e 300mila tesserati e che sono completamente non assistite né da enti locali, né da governi e né da provvidenze, esclusa la questione fiscale che è stata ottenuta col decreto, l’articolo 90 della finanziaria del 2002 che ho procurato io. Dopodiché non c’è stato nient’altro di provvidenza. Quindi, tutti coloro i quali invocano interventi, si ricordino che le società dilettantistiche vivono solo perché ci sono dei soggetti volontari, che mettono i propri soldi per mettere su una squadretta di calcio e il settore giovanile. La Federazione sotto la mia guida ha fatto circa 30 centri federali sul territorio per poter portare quello che è il verbo del gioco del calcio, che dovrebbe essere importato dal settore tecnico di Coverciano. Gli attori di questa storia sono più di uno: se parliamo dell’aspetto tecnico c’è bisogno di un certo discorso, se parliamo di quello agonistico serve altro, se parliamo poi dei giovani in Nazionale, bisogna considerare qual è la politica delle società professionistiche di Serie A. Oggi, grazie anche ai regolamenti attuali, hanno in rosa più stranieri che italiani. Quindi, bisogna intervenire, moderando l’utilizzo nei settori giovanili professionistici di giocatori stranieri creando maggiore spazio per i nostri giovani. Questo è il risultato più importante, ma siccome i giocatori stranieri vengono importati da tutta una serie di soggetti e associazioni che hanno interesse ad avere questi scambi di natura commerciale, gli italiani verranno sempre dopo”.
E come si potrebbe contrastare, secondo Lei, questo rete di scambi di natura commerciale a cui ha appena fatto riferimento?
“Se lei va in Africa o nei paesi sudamericani, trova gente che ha fame, gente che vive dieci ore al giorno con il pallone in mano. I nostri giovani stanno dieci ore al giorno con il telefonino in mano, non con il pallone, e quando li porti a giocare stanno massimo un’ora e mezza al giorno. Cosa vuole fare con un’ora al giorno? Anche perché ormai c’è una civiltà che porta a fare altri ragionamenti, quindi quando lei incontrerà questi soggetti che ormai per loro è un motivo di vita, un motivo esistenziale, il gioco per poter emergere, lei perderà sempre”.
Un intervento concreto quale potrebbe essere?
“Un intervento concreto andava fatto quando ci fu la nostra Presidenza del Consiglio Europeo: bisognava individuare la specificità del gioco del calcio e stabilire che ogni associazione dilettantistica o comunque professionistica non può avere più di 5 elementi stranieri. Questo andava fatto con una norma europea. È una restrizione che andava fatta a quel livello. Non avendolo fatto, ci sono 28 paesi europei, in questi c’è la libera circolazione delle merci, delle idee, del gioco e di tutto quello che c’è. Gli stranieri? Lei faccia il conto: se ne possono usare 2 all’anno, ma quanti ne importano? Per trovarne 2 ne importano 50. Poi ne saltano fuori un terzo e un quarto e riusciamo ad avere squadre con 11/11 di stranieri, come l’Inter, o 10/11 in altre società che prima utilizzavano solo italiani”.
Restando in tema giovani: quella delle seconde squadre è una strada percorribile?
“Le seconde squadre? È come inventare l’acqua calda, io le avevo proposte 3 anni fa. Ero riuscito a mettere insieme la Juventus, il Milan, l’Inter, la Roma, la Lazio e la Fiorentina. Avevamo fatto 6 seconde squadre pronte ad iscriversi. Non sono state accettate ed è caduta la questione. Adesso si parla di aver riscoperto l’acqua calda e se n’è iscritta solo una, però i risultati sono quelli che sono”.
Cosa direbbe a Malagò?
“Malagò ha preso le sue decisioni, io non ho fatto niente per contrastarle, ma mi risulta strano che un presidente del CONI vada in televisione la sera prima dell’Assemblea Elettiva rilasciare certe dichiarazioni. Queste sono cose che non succedono in nessuna parte del mondo! Queste sono cose irripetibili! E questi le hanno fatte. Pazienza, se ne accorgeranno. Ma tanto sono 10 mesi che stanno cercando di inventare l’acqua calda”.
Lei nel suo mandato ha ricevuto tante critiche.
“Siamo riusciti a portare in Europa il vicepresidente della UEFA e una donna in FIFA. Chi è stato determinante per Ceferin? Chi è stato determinante per Infantino? Si faccia dire chi è stato e poi vedrà. Io non sono in giro a chiedere niente a nessuno, i fatti sono questi. In questo paese bisogna vedere i fatti, non le chiacchiere”.
Cosa pensa del calcio femminile nel nostro Paese?
“Il calcio femminile è partito con una mia intuizione, che era quella di accompagnare il percorso delle società professionistiche con l’obbligo di avere una squadra femminile. Questo lo ha detto Carlo Tavecchio 5 anni fa. È arrivato al punto che siamo ormai quasi in un campionato che prevede almeno 7-8 società professionistiche con la squadra femminile, cosa che non è per tutte e 12 le compagini. Però la questione più importante è questa: che il calcio femminile professionistico, a mio modestissimo avviso, doveva essere attribuito alla Lega di Serie A. La Federazione non deve fare attività agonistiche e formare dei dipartimenti, perché la Lega Dilettanti aveva portato avanti un discorso molto serio, di autonomia e aveva pagato i debiti di tutte le gestioni precedenti. Adesso andiamo a prendere il romanticismo dei grandi nomi per portare a fare il discorso del calcio femminile. Il calcio femminile professionistico deve stare nella lega professionistica, che è quella di Serie A. Non ci sono altre storie. Eppure qui si vuole insegnare che è cambiato il discorso, ma non è così”.
Siamo in chiusura: Carlo Tavecchio, cittadino italiano e tifoso della Nazionale come ha vissuto il flop con la Svezia?
"È stato drammatico. Sei mesi prima avevo detto che se non ci fossimo qualificati sarebbe stata un’apocalisse, perché sapevo che per una mancata qualificazione si sarebbero scatenate tutta una serie di situazioni latenti che sarebbero emerse sotto l’aspetto agonistico. Lo so perfettamente, lo dissi prima. Quando lo dissi io, tutti: ‘non è vero, non è vero!’ . E invece...”
L’ultima domanda: una cosa che avrebbe dovuto fare e che, invece, non ha fatto quando era Presidente?
“Avrei dovuto tenere Antonio Conte, contro tutto e tutti. Era l’unico che mi garantiva di andare ai Campionati del Mondo”.
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