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L'intervista

Claudio Ranieri dixit: "Seconde squadre? Agevolano la crescita dei più giovani"

L'attuale senior advisor della Roma, che compie oggi 74 anni, in un'intervista esclusiva concessa a Gazzetta Regionale nel 2017

20 Ottobre 2025

Claudio Ranieri (Foto d'archivio ©Gazzetta Regionale)

Claudio Ranieri (Foto d'archivio ©Gazzetta Regionale)

74 anni oggi, una vita dedita al calcio, prima da giocatore, poi da allenatore e, infine, anche da dirigente. Un'altra primavera che passa per Claudio Ranieri, Sir Claudio Ranieri, eppure di dire "basta" non ne vuol sapere. In realtà, dopo Cagliari aveva davvero deciso di fermarsi, ma la chiamata della Roma ha cambiato le carte in tavola perchè  “Quando la Roma chiama, io devo rispondere sì, sempre”. Di seguito l'intervista esclusiva su Gazzetta Regionale risalente al 2017 a firma del Direttore Responsabile Diego Cavaliere, di cui riportiamo alcuni passaggi. 

Un lavoro di qualità spesso lasciato da parte anche oggi: la mancanza di questi insegnamenti e di istruttori che insegnano tecnica di base quanto incidono sull’impoverimento del nostro calcio?

“Tantissimo, senza dubbio. In Spagna, già quando ero a Valencia, le Academy erano eccezionali, all’avanguardia. I bambini si esercitavano dalla mattina alla sera con il pallone tra i piedi, una filosofia ripresa pochi anni dopo dalla scuola francese, poi da quella tedesca. So che anche in Cina, dove è andato a lavorare il mio ex collaboratore Christian Damiano, uno dei primi maestri di Clairefontaine (quartier generale delle nazionali giovanili francesci, ndr), le academy stanno iniziando a lavorare in questa maniera. Vedrete che tra dieci, quindici anni, i fondamentali dei calciatori cinesi saranno di primissimo livello”.

Oltre alla mancanza dei sempre più rari maestri di calcio, c’è anche un’altra proposta molto attuale per rilanciare il nostro movimento, ovvero la possibilità di allestire seconde squadre. Lei ha lavorato in paesi dove le squadre B sono una realtà consolidata da tempo: quanto sono importanti per la crescita dei calciatori?

“Questo è un aspetto sul quale è mi batto da anni e che permetterebbe di agevolare la crescita dei più giovani. Per esempio al Nantes ho una squadra riserve dove posso utilizzare chi gioca meno e non viene convocato. Le rose sono molto ampie, avere a disposizione una seconda formazione consente ai ragazzi di migliorare nell’intensità e di essere pronti quando vengono chiamati per dare il loro contributo con la prima squadra".

A proposito di giovani: lei è un allenatore che non si è mai fatto scrupoli nel lanciare nella mischia talenti ancora acerbi dal punto di vista anagrafico nel nostro paese si fa ancora fatica o pensa che ci stiamo allineando alla tendenza europea?

“Molte volte sento parlare di paura nel lanciare i giovani, ma la verità è che in Italia vengono chiesti prima di tutto i risultati. Si chiede di vincere lo scudetto, di arrivare in zona Champions, quindi può accadere che un allenatore sia più propenso ad affidarsi a calciatori che offrono più garanzie dal punto di vista dell’esperienza. Noto con soddisfazione che anche in Italia sotto questo aspetto stiamo migliorando. Penso a società come l’Atalanta, ma anche al Chievo, all’Udinese e all’Empoli. Non sono così pessimista, penso che il calcio italiano stia tornando in auge e poi lo sport è fatto di cicli. Non è pensabile sfornare vagonate di talenti di prima fascia ogni decennio. Stiamo passando un momento di stasi, ma non dimentichiamoci che qualche anno fa avevamo due finaliste di Champions League, che nelle Coppe dettavamo legge e che abbiamo vinto un Mondiale. Sono sicuro che presto avremo una nuova generazione di sto avremo una nuova generazione di campioni. Poi noi italiani siamo bravi a barcamenarci con le idee, che non mancano mai, e riusciamo a mantenere un buon livello”.

Tanta attenzione può nuocere alle carriere dei giovani?

“A mio modo di vedere chi è campione lo è anche sotto pressione. Il campione ha carattere anche a diciassette, diciotto anni, e già in tenera età è pronto per navigare nell’oceano e non solo nello stagno di casa. Basti pensare alla generazione d’oro della Spagna: sono tutti calciatori che hanno esordito giovanissimi, con un valore di mercato e clausole stratosferiche sin da ragazzini e vi assicuro che da quelle parti la pressione è molto simile a quella che c’è in Italia. Nonostante questo, però, sono quasi tutti arrivati e hanno vinto quello che tutti sappiamo. Inoltre se il club non mette pressione, il ragazzo non l’avverte. Un discorso che vale per la Francia e l’Inghilterra, dove non ti fanno sentire immediatamente arrivato o un fuoriclasse solo in base alla quotazione del cartellino. Sono paesi dove ti fanno lavorare duramente, ogni giorno, senza creare immediatamente il mito. Perché se arrivare è davvero difficile, scomparire è facilissimo. La gestione dei club è fondamentale”

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