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Federico Buffa, l'intervista integrale: dal Guerin Sportivo a Sinner passando per il teatro
Quando Gabriele mi ha contattato per informarmi della possibilità di intervistare Federico Buffa, sono stato immediatamente pervaso da un entusiasmo che in altre pochissime occasioni ho provato durante la mia vita giornalistica. Una sensazione che si è immediatamente palesata anche negli occhi e nei commenti dei redattori, da quelli dei più giovani a quelli di chi, dentro Gazzetta Regionale, ci butta l'anima da dieci anni. Tutti emozionati e desiderosi di scoprire qualcosa di chi ci ha fatto conoscere, raccontandole con uno stile inconfondibile, alcune delle storie più belle dello sport mondiale, prima come telecronista, poi come un moderno romanziere. Per chi ha scelto di intraprendere il percorso giornalistico, Federico Buffa rappresenta un esempio unico. La sua grazia narrativa è un modello da inseguire, la sua capacità di documentarsi e la sua meticolosità nel lavoro un esempio preziosissimo per chi ha l'ambizione di raccontare lo sport. Per qualcuno la sua capacità di trasportarti dentro un'epoca, dentro le emozioni di un evento, è stata la scintilla che lo ha convinto ad intraprendere questo percorso. Noi ascoltiamo, leggiamo e "mettiamo via quello che impariamo". Proprio come il consiglio che il padre dà al piccolo Federico. Che chissà che anche a qualcuno di noi, prima o poi, non capiti di dover parlare di sport davanti ad una platea in un teatro gremito, come accade in questi mesi durante i suoi spettacoli.
Federico, molti ragazzi crescono con il sogno di emulare i propri miti sportivi. Come e quando nasce invece la sua passione per il giornalismo e per la narrativa sportiva? "Da bambino mio padre mi comprava sempre il Guerin Sportivo, che all’epoca usciva in un formato diverso da quello odierno, era più un giornale, e nelle ultime pagine c’era una rubrica di Gianni Brera. Io leggevo, e non capivo una parola. Però mio padre mi diceva 'Leggi, e metti via quello che impari. Magari un giorno capiterà di farlo a te, di scrivere di sport'"
In questi anni ha raccontato e intervistato personaggi sportivi tra i più iconici del passato e del nostro tempo. Qual è quello che più di tutti l'ha affascinato? "Senza dubbio Agassi. L’ho intervistato al telefono, via satellite, ci metteva anche tre secondi per rispondere, ma oggettivamente era sbalorditivo perché ti trovavi di fronte un uomo che si stava confessando totalmente, come poi ha fatto in Open. E non si faceva problemi a confessarti che tutte le cose per cui era celebre erano un po’ costruite, artate: la sua vita è stata particolarissima, e non credo di aver mai incontrato un altro sportivo così originalmente unico".
Uno sportivo che non è riuscito ad intervistare e con il quale le piacerebbe confrontarsi? "Sarei voluto essere Pier Paolo Pasolini quando incontra Garrincha che si aggira, in fuga dalla dittatura, per il litorale e la campagna romana, quando frequenta posti come Torvajanica, fa il rappresentante di caffè, gioca partite tra dilettanti. Averlo di fronte, Garrincha, sarebbe stato entusiasmante. Magari non sempre: ma quando si accendeva, avrebbe potuto spiegare il mondo come lo vedeva lui".
In questo ultimo anno è esplosa la Sinnermania. Ha avuto la fortuna di conoscerlo? "Sì, l’ho intervistato a Torino durante le ATP Finals, e se dovessi definirlo in una parola direi: brillante. Molto sveglio, molto competitivo, anzi ipercompetitivo. E poi sicuro, molto sicuro di sé, e non casualmente perché è il prodotto di due sport: del tennis e dello sci. Anzi: dello sci e del tennis. Gli sci gli hanno dato la mobilità, la capacità di basculare sulle anche che non si vede né si acquisisce in nessun altro sport, oggettivamente. Quello di Sinner è un tennis diverso da quello giocato finora, te ne accorgi anche dal suo fisico: è alto, altissimo, ed essendo così alto tra un po’ su quelle ginocchia sarà costretto a mettere meno pressione. Lui stesso ammette che non può metter su più muscolatura, perché preferisce di gran lunga sentirsi leggero. Un concetto in totale controtendenza con lo sport attuale".
C'è una leggenda dello sport che lo ricorda dal punto di vista caratteriale e di immagine? "Con quelle caratteristiche, con le caratteristiche di Sinner, in Italia non c’è mai stato nessuno. Ha quel modo di pensare che proprio non dà neppure l’impressione di essere un latino, è impossibile trovare una somiglianza".
Quali altri sportivi del passato sono riusciti a coinvolgere in maniera così totale il pubblico italiano? “Valentino Mazzola, immagino. E poi sicuramente i ciclisti: la rivalità tra Coppi e Bartali, per esempio, oggi noi non sappiamo neppure cosa volesse dire, che significato avesse per chi li seguiva".
Lei ha raccontato praticamente tutte le discipline, anche se nella nostra memoria restano indimenticabili le sue telecronache NBA. Un ricordo indelebile dei suoi anni a bordo campo? “Mi porto dentro sicuramente 3 partite: gara 5 del ‘97, a Salt Lake City; gara 6, sempre del ‘97 e poi sicuramente gara 4 del 2000 a Indianapolis, quando Kobe Bryant dice «Ci penso io» e per essere un bambino inanella cinque minuti enciclopedici che lo fanno entrare nella leggenda".
Come si prepara uno speciale sulla falsa riga di Federico Buffa Racconta? "Attraverso la ricerca del materiale e della chiave di lettura. Per Alì ci è voluta un’estate, per altri può bastare anche un mese".
Quanto tempo va dedicato e che tipo di ricerca c'è alla base? In questi ultimi anni ha girato l'Italia con i suoi spettacoli. Come nasce l'idea di trasporre un'idea giornalistica in una vera e propria opera teatrale? “Io nella mia vita non ho mai chiesto di fare niente, ho avuto la fortuna di sentirmelo chiedere; quando incontro questi due due registi milanesi, anni fa, mi dicono «vogliamo costruire uno spettacolo teatrale su di te». Io non avevo mai recitato, neppure nel saggio scolastico di scuola. Allora gli ho chiesto: «Cosa vi interesserebbe?». Mi hanno chiesto due opzioni, le mie sono state il Grande Torino o le Olimpiadi del ‘36. Ed è così che è nato tutto".
Quale sono state differenze dal lavoro in tv e, immaginiamo, le difficoltà nel calarsi nel nuovo ruolo? "Sulle Olimpiadi ho costruito uno spettacolo che, inizialmente, durava due ore e venti: lo sforzo mnemonico di imparare due ore e venti di parte sono forse la cosa più dura che avevo dovuto affrontare fino ad allora. Mi spaventava perché non me la sentivo anche dal punto di vista vocale. In questo caso a salvarmi, senza volerlo, è stato l’otorinolaringoiatra del Milan. Partecipavo ad alcune trasmissioni sul canale tematico del Milan, e il medico mi ha fatto sapere che voleva parlarmi. Ancor prima di entrare nel merito, quando ci siamo incontrati, mi ha chiesto quale fosse il mio calciatore preferito del Milan. Gli ho risposto che avrei voluto sapermi allacciare le stringhe delle scarpe, come Pirlo. Lì, in quel momento, mi ha spiegato che era stato lui a raddrizzare il setto nasale di Pirlo, intervento che gli aveva permesso di respirare e quindi ossigenare meglio. Il consiglio che mi ha dato è stato quello di fare lo stesso. Senza quel consiglio non esisterebbero gli spettacoli, non esisterebbe la tv, sicuramente non sarei lo stesso".
I suoi racconti sui calciatori, che catturano sempre l'attenzione anche dei più giovani, hanno sempre un lato romantico. Quale calciatore in attività sarebbe il protagonista ideale per un suo spettacolo? “Di contemporanei? Nessuno. Però dico George Best, che in fondo contemporaneo lo è, visto che nell’immaginario collettivo non è mai morto”. Qual è il consiglio che si sente di dare ai ragazzi che vogliono intraprendere il percorso da giornalista. “Dipende dalle aspettative che hanno. Oggi non c’è più bisogno di andare in redazione, di farti insegnare un mestiere. Oggi puoi fare di più il tuo, usare altri canali, più libertà di esprimerti: però hai anche molta più concorrenza. Il principio base che un ragazzo dovrebbe seguire, farne la sua stella polare, è forse solo uno: mantieni la tua originalità”.