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il protagonista
07 Settembre 2016
Andrea Romoli, classe '98
Studia ancora, Andrea Romoli, che frequenta il quinto anno del liceo linguistico a Viterbo. Ha la faccia da bravo ragazzo posizionata su un fisico massiccio, nei quartieri periferici di Roma uno come lui verrebbe definito una “branda”, o un “armadio”, non c’è scampo; e fisicamente, a vederlo dagli spalti, a chi ha vissuto il calcio degli anni Settanta ricorda Enrico Albertosi, portiere azzurro vicecampione del mondo in Messico, per intenderci e per chi non è avvezzo al romanticismo del football quello della semifinale vinta con la Germania, 4-3. Studia lingue – scrivevamo – e suona il basso, fa parte di una rockband locale che si chiama “Studio illegale” e si diverte da matti con la musica. E poi fa il portiere, che per forza di cose potrebbe a questo punto sembrare un hobby se solo ci si mette a pensare che ormai gli stereotipi del calcio moderno regalano istantanee di estremi difensori sedicenni che già militano in serie A, vedi il caso-Donnarumma, o quell’altro portierino minorenne, il classe 2000 Alessandro Plizzari, già pronto al grande salto. Ma scuola, musica e calcio a parte, Andrea Romoli ha dalla sua una virtù particolare, quella dell’umiltà, basti conoscere il suo pensiero rilasciato dopo il debutto in prima squadra: «Grazie a tutti quelli che hanno creduto in me, anche quando non ci credevo nemmeno io. Mister Giancarlo Ceccarelli in particolare, che mi ha voluto fortemente in questa società. Mi promise tempo fa la Promozione in cambio del mio massimo impegno. Lui ha mantenuto la promessa, io sono solo all’inizio». Ah, quasi dimenticavamo. Ha chiuso i suoi primi novanta minuti in Promozione da imbattuto, non male per un debuttante. E volete sapere il perché? Dino Zoff, al debutto in serie A, subì cinque reti…
Debuttare appena maggiorenne nel campionato di Promozione. Quali sono state le sensazioni?
«Sono stato più tranquillo del solito. Giancarlo (Ceccarelli, il preparatore dei portieri, nda), i compagni, il mister e tutto lo staff mi hanno aiutato molto. E poi mi sento in forma e ho vissuto questa esperienza senza paura. Quella paura che molte altre volte mi ha paralizzato. Non questa volta per fortuna».
Dopo esser cresciuto calcisticamente a Vignanello, sei andato un anno a giocare a Canepina. Perché la scelta di cambiare?
«Per una serie di motivi, tutti importanti. I molti, tanti impegni legati alla scuola e alla mia passione, la musica, tolgono molto tempo alla mia quotidianità. Volevo smettere, d’accordo col Vi.Va. calcio, perché non avrei sostenuto quattro allenamenti a settimana. In più il Canepina, che era senza portiere, mi offriva una stagione molto più calma e tranquilla. E così, sono andato via».
Sei stato catapultato in una realtà assurda, che solo a pensarci vengono i brividi, da portiere della juniores a numero 1 della prima squadra, tutto in poche ore. Immagino servano nervi saldi per non essere attanagliati dalla pressione in questi casi…
«Speravo vivamente di arrivare in prima squadra ma non avrei mai immaginato né sperato di arrivarci cosi velocemente. C’era pressione sulla squadra, e si è vista anche in campo. Ma tutto l’ambiente ha contribuito a non farmela sentire addosso. Tutti hanno fatto l’impossibile per farmi sentire a mio agio».
Come sei stato accolto dai compagni di squadra, intendo quelli della prima squadra? Loro già esperti e col pelo sullo stomaco e tu un novizio…
«I compagni sono stati il top, di meglio non avrei potuto avere. Quelli di reparto in particolare mi hanno aiutato moltissimo, e tanto aiuto me l’ha dato il capitano della squadra. Tutti sono stati dalla mia parte, la squadra mi ha accettato e stimolato a dare il meglio».
Sii schietto, la sera prima della gara quando stavi per addormentarti hai pensato “domani le paro tutte!” oppure… “domani ne prendo almeno tre”?
«No, giuro, ho pensato solo a dare il mio meglio, tutto il possibile nelle mie corde, per non avere rimpianti».
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