L'intervista
Cafarelli: "Periodo di pausa per ricaricare le pile. Ma cerco un altro progetto"
La prima estate senza un preparazione atletica in vista da affrontare come giocatore o, come tecnico ormai, fa un certo effetto ad Emiliano Cafarelli, giovane ma già molto gettonato allenatore che, al calcio, ha già dato tanto, forse troppo, in due vesti diverse. Un mister che, in cinque anni (uno in Prima Categoria, quattro in Promozione), ha collezionato due quarti posti (Duepigreco e Santa Marinella), due secondi posti (Duepigreco e Romulea) una finale di Coppa Italia (Romulea), disputando 136 match, di cui 86 vinti e 24 pareggiati.
Carta, indubbiamente, canta, e bene
"Si - analizza Cafarelli - il calcio rappresenta una parte estremamente importante di me. Pratico questo sport da quando ero bambino. Ho avuto il privilegio e, credo anche la bravura, di assaporare il professionismo. Ho vinto campionati e vissuto annate indubbiamente costruttive. Posso ritenermi già soddisfatto del percorso fatto; certo ho solo 42 anni ed ho intenzione di proseguire".
In maniera secca, senza giri di parole, ti direi come.
"Adesso francamente questa pausa, voluta, cerco di affrontarla in maniera propositiva: allento un po’ di tensioni, rifletto, ricarico le cosiddette pile. Sarebbe bello poter far parte di un sodalizio che creda in un percorso a medio lungo termine; esprimere me stesso, in un contesto del genere, sarebbe molto più facile".
Un focus sull’ultima annata me lo fai?
"Tante cose sono andate per il verso giusto. Conoscevo fin dall’inizio il valore della squadra. Con molta onestà intellettuale credo che il vissuto a via delle Colonie sia stato in linea coi parametri generali. Le aspettative sono sempre alte, giustamente, in una società blasonata come il Santa Marinella; abbiamo lottato per le prime posizioni fino ad una fase del campionato interessante anche per altri 6/7 club attrezzati come noi. Poi vince sempre una squadra e, senza l’ausilio dei play off, terminare la stagione al quarto posto è stato l’obiettivo minimo, sopraggiunto e centrato. Le mie soddisfazioni più grandi, ottenute in maniera genuina, sono quelle di aver instaurato rapporti di grande stima e rispetto con 7/8 calciatori che rappresentano degnamente il club. Poi, tecnicamente parlando, l’aver valorizzato ragazzi come Monteneri, Polidori, Tranquilli che, ora, sono una risorsa importante nella nuova rosa rossoblù".
L’anno prossimo, dopo circa 30 anni, più o meno, decade l’obbligo degli Under nei dilettanti.
"È una svolta epocale. La speranza è che questa storica decisione presa non rallenti quei processi di crescita dilazionati nel tempo che, nelle società, a mio modo di vedere sono essenziali. Sento che c’è una rincorsa frenetica ad acquisire le prestazioni sportive di profili esperti. Questo, se realmente poi avviene, va a discapito dei ragazzi, che in qualche modo risultano emarginati. Ripeto, alla fine trionfa sempre e solo una squadra; creare un progetto dove i giovani hanno un ruolo quantomeno non decentrato, resta sempre una valida soluzione per stare al passo coi tempi, ammortizzare i costi ed investire sul futuro".
La famigerata sostenibilità.
"Alla lunga sopravvivono degnamente solo i club che sviluppano un progetto inclusivo, dove c’è equo meritocratico spazio per figure professionali nello staff tecnico, atletico, sanitario. I club virtuosi sono anche quelli che impegnano risorse nelle struttura: è una filosofia che paga".
L’Europeo in Germania che messaggio sta lasciando?
"Ormai, alle porte del 2025, non c’è più spazio per l’improvvisazione. Ogni team cura in maniera maniacale tutti i dettagli possibili ed immaginabili. Realtà solo da applaudire come Slovacchia, Slovenia, Romania, Austria, Svizzera, Turchia, ci fanno capire perfettamente che si può essere importanti e competere a grandi livelli attraverso un lavoro professionale assiduo, portato avanti umilmente, con fiducia, negli anni".
In chiusura, cosa consigli ai tecnici magari giovani e aperti mentalmente a trecentosessanta gradi?
"Di stare sempre al passo coi tempi, di non rinnegare i propri principi e di portare con entusiasmo le proprie idee all’interno dei contesti in cui vanno a lavorare. Il resto, lo devono fare i club perché un’allenatore, pur bravo, ha bisogno della fiducia incondizionata della propria società di appartenenza per poter incidere poi concretamente, nel percorso condiviso, insieme alla squadra".