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L'intervista

Standing ovation: intervista integrale a Marco Paolacci

Dagli esordi con il Savio fino all'ultima partita con la Lupa Frascati: il difensore si racconta a 360 gradi

13 Giugno 2025

Standing ovation: intervista integrale a Marco Paolacci

Marco Paolacci in maglia Vis Artena (©Roberto Coculo)

Il professionismo

Dopo più di vent’anni metti fine ad una splendida carriera, al triplice fischio che sensazioni hai provato?

"Non ti nascondo che dentro di me ho avvertito un mix. Dalla gioia di aver portato a casa la salvezza nel play out alla tristezza di aver capito anche se non immediatamente che tutto ciò che ho provato in questi anni era arrivato al termine. In tutto il mio percorso è stata l'unica volta in cui prima di andare al campo ho provato un po ' d'ansia, una sensazione che non avevo mai testato prima. Ricordo che appena sveglio ho detto a mia moglie di aver quasi paura. Anche ai ragazzi, dell'ultimo dei miei infiniti discorsi alla squadra sentivo di avere la voce diversa, come se fossi bloccato, poi appena è iniziata la gara, almeno per 90’ è svanito tutto. Col passare dei giorni ho realizzato del tutto, ripercorrendo tutti gli step fatti e non nascondo un pizzico di tristezza. in questi giorni però l’affetto e i complimenti di tutte le persone incontrate mi sta rincuorando e mi sta facendo realizzare quanto sia stato bello tutto ciò".

Un viaggio iniziato tantissimo tempo fa, quali sono stati gli inizi ed cosa ha rappresentato il passaggio poi tra i professionisti?

"Ho fatto tutte le giovanili nel Savio, dove ho lasciato dei bellissimi ricordi. Da lì sono passato all'Albalonga, una meta che tornerà poi in futuro e che mi è servita come trampolino di lancio verso i professionisti, un salto davvero grande ma super stimolante. L’arrivo nel "grande calcio" ad Acireale ha segnato un momento importantissimo per me, perché per la prima volta mi sono interfacciato con gente più grande e con un campionato di livello altissimo. L'esordio in C, avvenuto contro il primo Napoli di De Laurentiis lo terrò per sempre impresso nella mia mente e lo ricordo ancora oggi come fosse ieri. Ho in testa ogni attimo di quella domenica. Quella partita rappresenta di certo l’istante migliore della mia vita calcistica. Giocare contro calciatori del calibro di Calaiò ed il "Pampa" Sosa non succede tutti i giorni, così come calcare terreni di gioco come lo Zaccheria di Foggia, o l’Arena Garibaldi di Pisa. Un’annata splendida perché soprattutto mi ha fornito prima come persona e come uomo e poi come calciatore". 

Dopo 4 anni tra i professionisti sei tornato in D, cosa ti ha spinto a questa scelta?

"Non ti nego che la nascita dei miei figli ha influito e non poco, mi sono voluto avvicinare a casa andando a Marino, nella squadra della mia città, viste le mie origini. Una decisione presa di cuore ma anche stimolante dal punto di vista calcistico. Una rosa, quella, in cui c’ erano nomi importanti ed infatti in quell’annata di D abbiamo lottato fino all'ultimo per la vittoria del campionato, cedendo solo il passo nel finale alla Salernitana del presidente Claudio Lotito, che ci riuscì a battere in una lotta punto a punto. Da lì ho deciso poi di trasferirmi a Palestrina dove però il primo dei miei due infortuni al crociato hanno pregiudicato in parte quelle due annate, ma poi al Trastevere ho ritrovato la felicità, trovando un gruppo di ragazzi incredibile. Con i rionali partimmo ad inizio stagione con l’idea di una salvezza tranquilla ma grazie alla forza del gruppo ci ritrovammo a lottare per il vertice. Fummo primi fino a tre turni dal termine, ma anche lì come a Marino subentrò un po’ di sfortuna e ad andare in C fu poi il Bisceglie. Ai due anni in amaranto sono molto affezionato. Col passare delle stagioni cercavo sempre un ambiente famigliare ed è perfettamente ciò che ho trovato ad Albano prima e ad Artena poi. Piazza nella quale l’ambiente famigliare tra noi calciatori ha fatto la differenza nel disputare stagioni da protagonisti, lottando sempre per le prime posizioni, a volte anche andando al di là delle aspettative".

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