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L'Intervista

D'Amico: "Giovanili? Troppi stranieri. E su Lotito..."

Le parole dell'ex fantasista della Lazio campione d'Italia del '74: "Gli allenatori pensano solo ai trofei"

19 Febbraio 2019

L'ex fantasista della Lazio Vincenzo D'Amico

L'ex fantasista della Lazio Vincenzo D'Amico

E’ proprio vero: come si gioca a calcio, si vive. Il pallone è una metafora dell’esistenza. Vincenzo D’Amico lo sa bene: elegante, schietto, diretto. Come un dribbling, con annesso tunnel e botta sotto il sette. Dopo aver passato una vita nella Lazio, da calciatore prima e tecnico delle giovanili poi, l’ex fantasista del primo Scudetto biancoceleste vuole ancora essere protagonista. Chiede la palla, vuole poterla giocare, creare qualcosa dove non c’è nient’altro. Per cui eccolo prendere di petto le domande e non schivarne nemmeno una. La sua Latina, la Lazio del ’74, l’obbligo di andare Torino, il ritorno, la passione per il Settore Giovanile e i suoi rapporti con Cragnotti e Lotito. Senza disdegnare qualche battuta forte, eh. Che in campo le legnate si danno. 


L'ex fantasista della Lazio Vincenzo D'Amico



Vincenzo, le indico quattro luoghi: il campo, la panchina, lo studio tv e la radio. Qual è il posto in cui si trova meglio?

“Il campo. Quando trovi un posto nel mondo, in cui le tue doti naturali vengono esaltate, non vorresti lasciarlo mai”. 

La sua carriera da calciatore inizia dalle giovanili dell’Almas: una sorta di rampa di lancio per poi approdare alla Lazio e vincere anche uno Scudetto. I giovani di oggi hanno la possibilità di ricalcare la sua parabola?

“Me lo auguro. Non ho mai pensato di poter fare realmente il calciatore: giocavo con gli amici alle case popolari di Latina, poi all’Oratorio. La differenza oltre che la qualità, la fa la fortuna”.


Cioè?

“Ho cominciato a crederci quando sono arrivato a Roma. Prima conoscevo solo le squadre che arrivavano a Borgo Piave oppure ad Aprilia. Approdai all’Almas grazie ad un’amichevole tra il Cos Latina e la Vis Sezze, una buona squadra per l’epoca. Mi notò Vignoli, anche lui ex Lazio, e decise di portarmi nella Capitale. A quel punto capii: ero il protagonista di provini con squadre importanti, riuscivo a fare la differenza. In più faticavo poco: facevo quello che amavo. Potevo riuscirci, potevo fare il calciatore. Ma senza quell’amichevole nessun mi avrebbe notato. Probabilmente sarei finito al Latina e da lì avrei trovato il modo di affermarmi”. 


E’ forse questo, uno dei problemi di oggi: i giovani sono troppo disincantati?

“Esattamente. Una volta in una trasmissione radiofonica dissi una frase forte e provocatoria: la migliore squadra di giovani, è quella composta da orfani. I genitori sono deleteri. In campo comanda il mister e a casa non va detto: non giochi perché l’allenatore è un cretino. Ma: impegnati e vedrai che troverai spazio. Parlo con cognizione: per l’esperienza che ho fatto prima da calciatore e poi da tecnico delle giovanili. I miei genitori si sono comportati così con me e la cosa ha funzionato. Anche quando tutti mi esaltavano e fuori dall’Olimpico la gente mi aspettava per abbracciarmi, mio papà mi diceva: potevi fare di più”.


Perché ha allenato solo giovanili?

“Era il massimo che potessi fare: non ho la passione per cimentarmi con i grandi. Mi piace, invece, lavorare con i ragazzi. Avrei continuato ma Cragnotti decise diversamente. In una panchina diversa non mi ci vedo: i tecnici ora non sono più uomini normali, vivono in simbiosi con i loro staff. La mia vita è molto altro”.


Ha parlato di Sergio Cragnotti, presidente del secondo Scudetto laziale e ancora molto amato dalla gente. E di Claudio Lotito che mi dice? In che rapporti siete?

“Pessimi. Non ci stimiamo affatto. Io sono un tifoso della Lazio e certe cose non mi sono piaciute. Lui gestisce il club secondo la sua testa e prende decisioni che non condivido. Non sbaglia lui, semplicemente non piace a me. E ci tengo a sottolineare che parlo da tifoso”.


Vincenzo D'Amico con la maglia della Lazio

Ha sempre amato la Lazio?

“Macché. Nasco juventino, completamente pazzo di Omar Sivori. La Lazio è stata una scelta, per quanto Felice Pulici dicesse sempre che è la Lazio che ti sceglie”. 


Eravate molto legati, non è vero?

“Molto. Lui era eccezionale. Ma di quel gruppo voglio bene a tutti”.


Sono vere le storie su quella squadra o la maggior parte sono leggende?

“Tutto verissimo. In alcune cose magari si esagera ma la gran parte sono vere”.


Roba da scriverci una Serie Tv…

“Mi chiedo sempre perché nessuno ci pensi. Una volta venne realizzato uno spettacolo teatrale molto commovente. Le storie di Maestrelli, Re Cecconi e Chinaglia si prestano. Io girerei un film”.


Da questo punto di vista Roma e Lazio sono molto simili: i personaggi che ha appena citato, ai quali aggiungerei Di Bartolomei, erano veramente uomini speciali oppure sono i tifosi a mitizzarli? Anche perché si è vinto davvero poco…

“Dico sempre: ma un ultras della Juventus, chi ha come idolo? Ne ha diversi e tutti momentanei. E a quale Scudetto è affezionato? Ce ne sono così tanti… Il tifoso della Lazio non ha punti di riferimento: vive alla giornata e prende tutto quello che viene di buono”. 


Aggiungiamo il fatto che non esistono più bandiere…

“Già, con poche eccezioni tipo Totti. Non ci sono più giocatori attaccati alla maglia: si va dove si guadagna di più”.


Anche lei, però, ha lasciato la Lazio.

“Sì ma erano altri tempi. All’epoca non potevi decidere il tuo destino, erano le società a controllare il tuo cartellino. Mi vendettero al Torino per un miliardo di lire più la comproprietà di Greco. Ho resistito un anno lontano da Roma…”


Rientrò la stagione successiva.

“Per di più in Serie B. Feci personalmente la trattativa. Entrai in presidenza e dissi: Signori, io torno a casa. La Lazio mi ricomprò per 700 milioni. Alla fine fece anche un discreto guadagno”.


E tutto senza procuratore…

“Già, non esistevano all’epoca e quanto sarebbero stati utili. So che ora sono invisi a molti ma in fin dei conti sono una categoria: ci sono quelli bravi e quelli meno”.


Paolo Negro dice che cercano le famiglie facoltose invece che i ragazzi di talento.

“E’ una battuta cattiva ma che capisco. Senza qualità, però, il gioco finisce presto”. 


Cosa c’è che non va nella “base” ovvero nei Settori Giovanili?

“Basta fare un piccolo esperimento. Leggere le formazioni delle squadre Primavera o dell’Under 17. Quanti stranieri troviamo? Tanti. E sai perché? Perché c’è maggiore margine di guadagno. Un calciatore che viene dall’estero, anche se non rende al massimo, rimane un’ottima pedina di scambio. E’ più difficile crescere un italiano…”


Vincenzo D'Amico con la maglia del Torino

Quindi responsabilità le hanno anche i tecnici?

“Chiaro. Una volta gli allenatori di Settore Giovanile erano quasi dei missionari. Non avevano ambizioni se non quello di preparare un ragazzo per esordire in Serie A. Quella era la soddisfazione massima. Oggi, invece, si vuole vincere, si cercano le coppe. Così si hanno i titoli sui giornali e si può sperare in una carriera diversa. In Prima Squadra, quindi, arrivano sempre meno prodotti del Vivaio e il calcio italiano continua a colare a picco”. 


Esistono delle eccezioni, però. Una di queste si chiama Simone Inzaghi…

“Ha fatto sempre bene, anche nel Settore Giovanile. Ma lui ha allenato Allievi e Primavera, quindi praticamente la fine della corsa nella formazione di un calciatore. Inzaghino è bravo ma la rosa corta lo strozza. Ora per competere devi avere una squadra di almeno 18 titolari. La Lazio non arriverà a 14”. 


E della Roma, invece, che ne pensa?

“Voglio difendere Eusebio Di Francesco: lo scorso anno è arrivato terzo, sfiorando la finale di Champions. Poi gli hanno rivoluzionato la squadra e lì doveva imporsi un po’ di più. Ma ha dimostrato di essere un tecnico importante”.


A proposito, lo sa che alcune società dilettantistiche chiedono soldi ai mister per dare loro una panchina?

“E’ un fenomeno che esiste purtroppo. Ma non solo tra i semiprofessionisti. Gli allenatori si pagano da soli: non pensate sia un fenomeno isolato. Alla fine questi club lo trovano qualcuno disposto a sponsorizzarsi”. 


Purtroppo, anche nel Lazio, stanno aumentando gli episodi di aggressioni agli arbitri. Come fermare un fenomeno sempre più preoccupante?

“Opera di delinquenti. Impossibile trovare una soluzione: forse bisognerebbe preparare meglio i ragazzi. Non si può mandare un ventenne ad arbitrare una partita tra squadre di paesi. Qualcosa succederà sicuramente”.

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