L'intervista

Città di Ciampino: Stefano Martinelli a 360 gradi

Lunga intervista al giocatore del club aeroportuale che sulla fanzine della società si racconta in tanti aspetti della sua vita

Moto perpetuo, in campo come nella vita: questo è Stefano Martinelli, un vero e proprio vulcano in eruzione che è impossibile cercare di tenere a bada. Ed è questa sua generosità, insieme alla sua grinta, ad averlo trasformato in un vero e proprio simbolo del Città di Ciampino. Perché in partita puoi sentirlo gridare, puoi vederlo sbagliare a volte, ma non ci sarà una volta in cui lui uscirà dal campo senza aver dato tutto per la maglia del City. 

“Non ci posso fare niente, sono fatto così: sento questa squadra come una cosa mia, ed a casa mia gli altri possono entrare solo se seguono le mie regole. Per questo ogni domenica, ma anche ogni giorno in allenamento, do sempre tutto me stesso: non posso nemmeno pensare di retrocedere, anche perché se dovesse succedere smetterei di giocare”. 

E non sarebbe un grande successo smettere dopo il tuo primo anno in serie D...  "È vero, io questa categoria non l'avevo mai fatta, sono scarso"

Scherzi a parte, di offerte ne avrai ricevute parecchie...  "Effettivamente in passato ho avuto delle proposte, ma ho sempre rifiutato perché questa è una categoria che non sento mia, visto che girano un sacco di giocatori convinti di essere dei fenomeni. Io non lo sono, questo è certo, e gioco perché questa è la mia passione. Spesso si ricevono proposte da società senza progetto, che non durano più di una stagione, e non vale la pena. Quest'anno faccio la D per il semplice motivo che qui sarei rimasto anche in Prima Categoria: questa è la mia famiglia e si sono creati dei rapporti speciali con il presidente, il direttore e l'allenatore. Sia chiaro, si tratta di una stima reciproca conquistata con il tempo, che va oltre il campo, perché non sono qui perché qualcuno mi ha favorito: è per questo che, ribadisco, se retrocedo smetto"

Di amici ne hai parecchi anche in mezzo al campo. Quanto conta?  "Per quanto mi riguarda se devo fare una corsa in più per il compagno la faccio a prescindere da chi sia il compagno stesso. Mi faccio in quattro quando gioco, pur sbagliando, ma se poi ti devo dire una cosa, positiva o negativa che sia, con i modi giusti o sbagliati, io te la dico, e questo non sempre viene apprezzato. Anche con Carnevali, che è un amico vero, è esattamente così: sai quante volte Tiziano in campo si accorge che mi sto innervosendo e mi riprende per farmi stare calmo? Ci conosciamo a perfezione, e quindi diventa più facile giocare insieme. Diverso il discorso con Citro, perché lui non lo capisci a prescindere, è una mina vagante! Ma è il più forte di tutti, non ci sono dubbi". 

Guardandoti indietro, tra le vittorie che hai conquistato quale ricordi con più affetto? "Sarebbe troppo facile parlare della Coppa Italia con l'Empolitana, bella quanto inaspettata, del campionato dello scorso anno o della cavalcata di Boville con la vittoria ai play off. Se devo scegliere, l'impresa che mi è rimasta nel cuore è quella del Cecchina di mister Mosciatti: 11 punti all'andata, 33 al ritorno, e siamo finiti ai play out. In finale ero in tribuna squalificato, ma è stata una grande festa"
 

Un pregio e un limite di Stefano Martinelli?  "Il mio pregio è la generosità, in campo e fuori, e paradossalmente è anche il mio limite, perché sono  troppo altruista e troppo sincero: quello che penso dico, perché non sono proprio capace a chiudere un occhio"

Hai mai pagato questa cosa?  "Sempre. Per anni nel calcio si credeva che fossi matto, ma non è così. Semplicemente, dico le cose come stanno, e le persone così sono scomode, in qualsiasi ambito. Ma se prendo un impegno, in serie D come in Promozione, lo affronto come se fosse la mia serie A; non sono un professionista ma mi comporto come tale. Anche in famiglia sono così: chiaro, diretto, sempre".
 

Ne deve avere di pazienza tua moglie...  "Sono io che ne ho tanta!! Scherzi a parte, Giorgia mi ha conosciuto quando avevo 18 anni e lei 16, quindi non abbiamo segreti. Ero un folle totale e lei mi ha aiutato a migliorarmi, mi ha indirizzato mettendomi dei freni e delle regole, e permettendomi di diventare l'uomo, il marito e il padre di famiglia che sono". 

E poi è arrivata Rachele... "Mia madre è colei che mi ha datola vita, mia moglie è colei che l'ha indirizzata, e mia figlia è colei alla quale io la dono a mia volta. Questa è una frase che dico spesso, e credo che sia sufficiente a spiegare il concetto: Rachele è tutto, da quando c'è lei tutto il resto è passato in secondo piano, ha totalmente ridimensionato le mie priorità. Un esempio? Vai in un negozio, vedi un giacchetto che ti piace e vorresti comprarlo, poi la guardi e ti ritrovi ad acquistare un vestitino per lei"

E i tuoi genitori? "Nella mia vita sono stati fondamentali perché mi hanno insegnato il rispetto, l'educazione e i principi che ho oggi. Nel calcio, però, mio padre si merita una piccola bacchettata: lavora da quando ha 9 anni quindi per lui il sabato e la domenica erano sacri, ed ha tentennato prima di portarmi in una società di calcio nonostante io fossi malato per il pallone. Alla fine mi sono appellato a mio fratello maggiore, che a 12 anni mi ha portato al Cinecittà Bettini. Ho iniziato tardi, e fino ad allora il mio campo era la strada perché il pallone non lo lasciavo mai"

A questo punto, tuo fratello Massimiliano merita un grazie "Lui è un grande! Ora peraltro fa il direttore all'Atletico Kick Off, lo scorso anno si è creato una squadra in seconda categoria, chiamando a raccolta tanti amici: hanno vinto il campionato e anche quest'anno sono sulla buona strada". 

Hai sempre giocato come difensore centrale?  Ho iniziato come centrocampista centrale, logicamente di rottura, e sono rimasto in quel ruolo fino alla Primavera del Sora. Per un periodo ho smesso, per ricominciare in Promozione: terzino sinistro, esterno in un 3-5-2, giocavo dove capitava. Poi a Boville a stagione in corso si infortunarono i difensori centrali e mister Barbabella decise di farmi giocare lì. Non mi sono mai più spostato, alla prossima farò l'attaccante... Lo scorso anno di gol ne ho fatti, quest'anno li sbaglio solo... Ma i compagni si divertono perché quando succede mi insulto da solo: “Sei proprio scarso! È giusto che smetti!” e via dicendo"

Prima dovrà smettere Carnevali, visto che hai promesso di romperlo...  "È una palla al piede, lo odio!(ride). Sono abituato ad andare a 200 all'ora, mentre lui è l'opposto anche nella vita: “mò andiamo, mò arrivo”. Va a rallentatore, è fastidioso! Quindi quando ci dirà che è al suo ultimo allenamento già sa che lo distruggerò"

Oggi guidi i Pulcini 2007, che allenatore sei?  "Non mi definisco un allenatore ma un educatore calcistico. Non ho alle spalle una buona scuola calcio perché i tempi erano diversi, con i campi di terra e i lanci lunghi su cui tutti ci avventavamo a fare a sportellate senza delle regole. Oggi penso che le basi siano fondamentali, e con i bambini sono molto meticoloso: anche quello che è meno portato va spronato a fare le cose più difficili, a non aver paura e a riprovare le giocate che ha sbagliato. Non sono uno che si agita, che strilla, mi piace insegnare calcio, anche se è una parola grossa, mettere a disposizione le mie conoscenze per il miglioramento del bambino. Bisogna lavorare di più e meglio sui settori giovanili, oggi puntiamo troppo sui giocatori stranieri anche nelle squadre giovanili, e va ridimensionato tutto. Siamo il paese di 4 Mondiali, non dimentichiamocelo". 

Cosa vuoi fare da grande?  "Resta prima di tutto da capire se voglio diventare grande! Voglio rivoluzionare il mondo del calcio, lanciare un sacco di giocatori italiani e invertire la rotta. Frequenterò il corso Uefa B per provare ad allenare: con il carattere che ho dopo 3 mesi mi cacceranno, facile! Nella vita voglio semplicemente essere un esempio positivo per la mia famiglia, per Rachele e per i figli che spero arriveranno in futuro"

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