L'intervista

PRES, puntata numero 4: Sergio Pellissier, un gesto d'amore per il ChievoVerona

L'attuale presidente, nonché ex bomber e bandiera del club scaligero ha voluto restituire ai tifosi la loro squadra

Nella classifica dei giocatori che hanno vestito più volte una sola maglia Serie A, al decimo posto troviamo Sergio Pellissier (459, al pari di Daniele De Rossi ora presidente dell’Ostiamare), capitano e simbolo del ChievoVerona con cui è arrivato ad ascoltare l’inno della Champions League, oltre ad aver segnato 139 gol. Appesi gli scarpini al chiodo, l’attaccante è rimasto fortemente legato alla piazza e, in seguito al fallimento della società, ha deciso di ripagare l’affetto dei tifosi fondando la Clivense. Ripartita dalla terza categoria, la squadra è salita fino alla Serie D e da questa stagione è tornata a chiamarsi ChievoVerona.  

Dopo aver dedicato praticamente tutta la carriera alla maglia gialloblù, ha deciso di esporsi in prima persona rifondando la Clivense. Da dove nasce questo progetto?

"Quando giochi così tanto per una squadra ne diventi il primo tifoso e riuscire a dare il tuo contributo sul campo è una cosa fantastica. Con il fallimento della società era come se fossero state cancellate tutte le nostre imprese. Ti da fastidio perché pensi di aver buttato via venti anni della tua vita. Sentivo il bisogno di fare questo passo, quantomeno per non far scomparire una realtà che mi ha dato tantissimo. Volevo ripagare, seppur in parte, l’affetto dei tifosi che ci hanno sempre sostenuto nei momenti difficili. Mi sembrava giusto provare a ripartire ed ho cercato di trovare più persone possibili che come me amassero quella società e riuscissero a darmi una mano a ricreare tutto".

Lo scorso maggio siete riusciti ad aggiudicarvi all’asta il marchio del ChievoVerona. Quanto era importante questo step all’interno del vostro percorso?

"Inizialmente non era una priorità perché volevo semplicemente ricostruire una realtà da cui ho imparato tanto nel corso della mia carriera. Non pensavo al nome. Quando è stato messo all’asta, però, ho ritenuto giusto restituire quel marchio alle persone che l’hanno amato, quelle che hanno lottato per esso sin dall’inizio, che non hanno mollato quando tutto sembrava perso. I nostri tifosi sono speciali, ci hanno seguito sin dalla terza categoria ed hanno passato anni difficili, venendo accusati di aver abbandonato la loro fede per seguire un’altra società. Per noi è una grande rivincita, e sono orgoglioso di aver riconquistato ciò che altri avevano lasciato andar perso".

Concentrandoci sul campo, negli ultimi anni avete scalato diverse categorie ed ora siete al secondo anno in Serie D. Quali sono le vostre ambizioni? Dove vede il ChievoVerona nel prossimo futuro?

"Siamo ripartiti dalla terza categoria e siamo felici di quanto ottenuto finora. Io credo che sia sempre giusto puntare in alto, sognare non costa nulla. Pensare che questa società possa tornare a breve nei professionisti ci trasmette ancor più entusiasmo. Non siamo sicuramente i più ricchi, né i più forti, ma il bello del calcio è che tutto può succedere e lo abbiamo dimostrato in passato portando in Serie A un piccolo quartiere. Pensando alla stagione in corso, abbiamo speso il giusto per costruire un gruppo competitivo. Purtroppo siamo partiti male, abbiamo dovuto cambiare l’allenatore ed alcuni giocatori, ma ora la squadra si è unita ed ha iniziato a rendere. Il nostro obiettivo è di provare a vincere ogni anno, ma siamo consapevoli di quanto sia difficile questo traguardo".

Veniamo al Pellissier giocatore. Dopo l’esordio in B con il Torino ha giocato 4 stagioni in C con Varese e Spal. Quanto le è servita quell’esperienza per poi confrontarsi con la Serie A?

"Sono orgoglioso di essermi fatto le ossa in C, ho preso le mie batoste, i miei rimproveri, ed ho potuto imparare da grandi professionisti. Non tutti sono pronti, o abbastanza bravi, per arrivare ai massimi livelli a 18 anni. Il calcio è bello perché è vario e soprattutto perché offre a tutti una possibilità, poi sta ad ognuno cercare di sfruttarla al meglio. È cambiato il modo in cui i giovani si approcciano a questo sport, l’attuale generazione vuole tutto e subito, senza capire che la vera esperienza sta nel guadagnarsi il proprio spazio attraverso il sudore e la fatica".

In 17 anni è diventato un simbolo per il Chievo, accettando anche di scendere in B invece di sposare altri progetti. Cosa l’ha spinta a rimanere lì così a lungo?

"Prima di tutto è stata la società a non volermi mandar via. Quando siamo retrocessi hanno mantenuto la rosa praticamente intatta per risalire subito, e così è stato. Io sentivo di aver trovato il mio ambiente e di poter rendere al meglio, non aveva senso andar via. Mi hanno voluto a tutti i costi affidandomi anche la fascia di capitano e questa cosa mi ha responsabilizzato portandomi a crescere ancora".

Le sue scelte l’hanno ripagata con la convocazione di Marcello Lippi in Nazionale, festeggiata con il gol all’Irlanda del Nord. Cos’ha provato nel vestire la maglia azzurra?

"Un’emozione incredibile, è il top a cui un giocatore può ambire. Per me è sempre stata la ciliegina sulla torta, quindi è normale che riuscire ad arrivarci e far gol, seppur per un giorno, ti fa sentire importante. In Nazionale devono giocarci solo i più forti e questo purtroppo si è un po’ perso negli ultimi anni, in cui abbiamo visto esordire tanti ragazzi con poca esperienza. Devono andare in campo i migliori, senza guardare la carta d’identità, perché si sta rappresentando un intero paese".

In una carriera piena di soddisfazioni, c’è anche spazio per qualche rimpianto?

"Non mi è mai piaciuto vivere di rimpianti. Ho fallito, sono caduto e mi sono rialzato, ma sono fiero del mio percorso. L’importante è sempre guardare avanti, porsi degli obiettivi ed inseguire i propri sogni".

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