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Roma, anatomia di una finale: cosa è andato e cosa no
Approccio da incubo e una scelta che non ha premiato costano il tricolore ma il carattere della ripresa e alcune individualità sono le basi da cui ripartire
In un'annata a tratti magica non poteva esserci finale peggiore. Non c'è lieto fine per la Roma che, dopo lo scorso anno, nei festeggiamenti post partita ha dovuto ancora una volta “accontentarsi” del crudele ruolo di spettatrice. Un tonfo, perchè di questo si tratta, arrivato in maniera inaspettata e che proprio per questo fa ancora più male. Il Milan, così, è campione d'Italia Under 16. Un trionfo meritato, vuoi per la prova di superiorità offerta durante la finale, vuoi per un percorso che ha visto i rossoneri eliminare uno ad uno colossi del calibro di Inter, Atalanta, Juventus e Genoa. Scomponendo la partita dei giallorossi ci si rende conto di come il pomeriggio di Cesena si stato caratterizzato da luci, poche, e ombre.
Approccio Ciò che fa più male e che rende ancora più amara questa sconfitta è la maniera in cui è arrivata. Imperdonabile l'avvio della Roma mandata in stato di shock dal diagonale di Tonin dopo appena una cinquantina di secondi. Lì i vecchi fantasmi hanno preso tristemente vita dando forza alle già grandi qualità del Milan a cui, di fatto, è stata regalata mezzora. Trenta minuti in cui l'undici di Lupi ha costretto la Roma al “torello” irretendola in un palleggio che ha portato poi ad altri due gol. Un game over anticipato con i giallorossi sfasati, soprattutto dalla cintola in giù, incapaci di orchestrare, salvo rari casi, quel pressing necessario a limitare la manovra rossonera.
Rubinacci Per il tecnico non è certo stata una finale semplice. In 120 secondi il mondo giallorosso è stato infatti scosso sin dentro le fondamenta. Neanche un minuto e il Milan passa in vantaggio, dopo un altro minuto, e con una squadra in tilt, perde pure Chierico per via del “solito” guaio alla spalla. Un avvio da incubo per un tecnico costretto ora a recuperare e per di più orfano del suo regista arretrato. La scelta di chiamare in causa Meo, spostando Greco in cabina di regia, però non ha portato i frutti sperati. Lecito chiedersi perchè snaturare Greco, che per indole e qualità di gioco non è certo un metronomo, quando in panchina c'era Simonetti, uno che quel ruolo lo ha fatto a più riprese in campionato. Una pezza Rubinacci l'ha messa, o almeno ci ha provato, negli spogliatoi. Il secondo tempo della Roma, c'è da dirlo, è stato migliore con i capitolini arrivati ad un passo dal riprendere una finale ormai però ampiamente compromessa. Chissà però cosa sarebbe successo se Soncin non avesse sfoderato sul bolide di Greco la parata più bella dell'anno. I due gol nel finale, che amplificano non poco il tonfo della caduta, sono figli di un assalto all'arma bianca. Rubinacci non è stato premiato, tutt'altro e la Roma da lui disegnata non è riuscita ad intaccare il dominio tecnico e tattico rossonero, ma se non altro ha scelto di rischiare in un finale in cui l'immobilismo sarebbe stata la colpa più grande.
Individualità In una prova di squadra troppo brutta per appartenere a questa Roma, non c'è altro da fare che ripartire da alcuni singoli che, nel naufragio generale, non hanno mai smesso di brillare. La conferma più importante è arrivata da Freddi Greco che nel suo nuovo ruolo di centrocampista, a questo punto è evidente come l'intuizione avuta dall'ex tecnico giallorosso D'Andrea sia stata quantomeno felice, sta trovando la definitiva consacrazione. Le sue doti atletiche sono diventate una costante importante per questa squadra, dimostrando di essere cresciuto tanto soprattutto dal punto di vista mentale non mancando mai negli appuntamenti importanti. Essere riuscito a barcamenarsi anche in un ruolo non suo, in una finale tanto complicata com'è stata quella contro il Milan, ne è la prova tangibile. Parlando di individualità impossibile non citare quella di Gianmarco Cangiano. La Roma non smette di attingere dalla sua Magic Box che continua a rivelarsi fonte inesauribile di qualità. Le doti tecniche di questo ragazzo non le scopriamo certo noi ma contro il Milan ha dimostrato, una volta di più, di riuscire a metterle in mostra indipendentemente dal contesto che lo circonda. Fare bene in una squadra che gira alla perfezione è un conto ma farlo quando tutti attorno a tè annaspano vuol dire essere un vero trascinatore. Trascinatore così come lo è stato ancora una volta Alessio Riccardi, Piccolo Principe di Trigoria, che di rabbia ha riacceso la scintilla della speranza giallorossa. Stavolta la magia non gli è riuscita sino in fondo ma il numero dieci giallorosso ha saputo confermarsi come uno di quelli su cui la Roma fa ben a puntare forte.