L'INTERVISTA

Testa: "Lorenzo, Riccardo e Guarracino: riecco il mio TdQ"

Il presidente rossoblu a tutto tondo: "Mio nipote e mio figlio stanno crescendo. Giampiero è tornato perché questa è casa sua"

Ripartenza. È su questa parola che si basa il presente e il futuro del Tor di Quinto. Un sostantivo che MassimoTesta ha utilizzato per la prima volta poche serate fa, in occasione della festa organizzata in via del Baiardo per celebrare le cinque squadre giunte alle finali. Un traguardo che per la maggior parte delle società laziali rappresenterebbe un successo da urlare a gran voce, ma che da queste parti deve rappresentare la normalità. Ripartenza. E vien da sé pensare al ritorno di GiampieroGuarracino dopo tre stagioni. La chiacchierata con il presidente del Tor di Quinto comincia da qui, dal ritorno dello storico direttore sportivo già a caccia di talenti per rinforzare le squadre e ricominciare a collezionare trofei. Come in passato, come in futuro.


Presidente, si è chiusa una grande stagione ma, nonostante questo, parla di ripartenza.

“Abbiamo raggiunto cinque finali ma non abbiamo vinto niente, per questo ripartenza. Dobbiamo tornare ad essere una società ambita, intorno al campo non abbiamo i palazzi della Tor Tre Teste o del Savio, venire a giocare a Tor di Quinto è una scelta e per essere una scelta devi essere una società ambita”.



Da qui la scelta di cambiare lo staff dirigenziale?

“Per far questo servono i personaggi, non gli esperimenti. Guarracino è tornato per questo, perché è una garanzia e a noi in questo momento servono le garanzie, non le scommesse. Altrimenti avremmo continuato a ripetere «vinceremo, vinceremo, vinceremo» e poi non vinci nulla. Noi non abbiamo tutto questo tempo, ne abbiamo già perso abbastanza”.



Un ritorno quasi a sorpresa dopo le sue dichiarazioni molto risentite al momento della separazione di tre anni fa.

“Mi diede quella notizia così, dal giorno alla notte, a campionati in corso, senza mai aver avuto una discussione. Non riuscivo a interpretare bene la cosa... Poi lui ha fatto le sue esperienze, si è reso conto di quello che gli piace e che lo appassiona ed è tornato. Il Tor di Quinto per Giampiero è una scelta di vita, non economica o di carriera. Qui sta bene, è a casa sua e per tutti è un interlocutore importante come con qualcun altro non si è verificato. Evidentemente i limiti, sia nostri che loro, non hanno permesso di creare la giusta amalgama tra le parti”.



Un bilancio senza Guarracino?

“Abbiamo costruito squadre carine, ma mai da titolo. Probabilmente per raggiungere determinati obiettivi non bastano l'ambizione e la voglia di crescere, ma servono altre competenze”.



Nell'intervista che Guarracino ha rilasciato a Gazzetta Regionale, il direttore parla di un messaggio che lei ha inviato con alcune dichiarazioni ai vari media.

“Non ho mai confuso l'amicizia con il calcio. Soprattutto con Giampiero. Siamo nati insieme, quindici anni di collaborazione intensa: non ho mandato un messaggio, ho ravvisato la necessità di riportare persone di un certo spessore, ma proprio per una questione di tranquillità interna”.



Il tempo ha cancellato tutte le ferite.

“Ero molto arrabbiato. Non era una questione di calcio, ma una questione di vita. L'equivoco è stato che la morte di Paolo ha messo in difficoltà tutti noi. A me è dispiaciuto che alcune persone vicino a me, che conoscono bene il mio carattere, hanno pensato che non sarei più riuscito ad andare avanti. Lo dico con tutto il rispetto, sono persone sensibili, e vedermi soffrire così evidentemente le ha scoraggiate. In una famiglia come il Tor di Quinto, inoltre, amicizia e fiducia sono fondamentali e questi due valori nel rapporto con Giampiero erano e sono illimitati”.




Sentimenti che dopo il dolore sono riemersi.

“Non ho mai messo in discussione una scelta di Giampiero. Tutti dicono che io faccio le formazioni, che comando tutto io: non è vero, sono loro che sono bravi a gestire. Non ti nascondo che con questo staff punto a far tornare il Tor di Quinto al livello di qualche anno fa e non solo in campo, in tutto l'ambiente”.




In effetti venerdì scorso si respirava l'aria di qualche anno fa.

“Stiamo facendo uno sforzo per ricreare quella situazione. Vi svelo una cosa: è un po' di giorni che qui a Tor di Quinto si ride, si scherza, sento battute per prendermi in giro... Tutti aspetti che mancavano. Questo non è un ambiente dove la professionalità paga al cento per cento. Questo è un ambiente dove la professionalità si deve sposare con l'amicizia e il sociale: solo allora arrivano i risultati”.



Un altro aspetto sul quale state insistendo molto è il senso di appartenenza che forse, negli ultimi anni, si era un po' perso.

“Quando lavori da noi sposi una causa. Non puoi pensare di utilizzare il Tor di Quinto per scopi personali. Devi essere consapevole che sei in una delle più grandi realtà d'Italia, che avrai a che fare con i maggiori club professionistici del nostro paese. Storicamente a Tor di Quinto è un momento di grande fermento, ho rivisto un viavai in questi giorni che non vedevo da molto tempo. D'altronde Giampiero non è che si inventa qualcosa. È la sua esperienza che gli permette di avere così tanti contatti. Non voglio togliere nulla a Losito, sono certo che diventerà un bel dirigente, e Sica: sono bravissime persone, che hanno dato tutto per la società e per il sottoscritto”.



Insieme state lavorando per il futuro. È impossibile non farle una domanda su Lorenzo Basili, suo nipote. In questo contesto come si inserisce?

“Come per Paolo vorrei diventassero tecnici o dirigenti del Tor di Quinto. Con Lorenzo in questo momento abbiamo accelerato la sua posizione per necessità. Ha 23 anni, Paolo quando ha iniziato ad allenare ne aveva 29. Devo prepararli perché mandare avanti questa macchina è una cosa complessa. Qui dopo di noi tocca a Fabrizio (Tafani, ndr), poi Lorenzo, Riccardo ed Emanuele, che ha otto anni. Dobbiamo farli crescere, sono loro il futuro, i quattro cavalieri dell'Apocalisse. A partire dall'educazione. Paolo era educatissimo, Lorenzo è uguale a lui”.



Lorenzo era estremamente attaccato a Paolo e qualcuno, romanticamente, dice di rivedere in lui alcune caratteristiche.

“Lorenzo è cresciuto con Paolo, è inevitabile che abbia subito la sua influenza. Il difficile è quando prendi qualcuno che devi inserire nel sistema, Lorenzo nel sistema ci è nato e cresciuto. Inoltre, cosa di non poco conto, qui ha l'opportunità di fare il professionista, di allenare per mestiere. Un vantaggio non da poco, dal quale ha preso spunto anche la Perconti con Bellinati: da quando ha un allenatore, senza dubbio capace, ventiquattro ore su ventiquattro sul campo che conosce il sistema alla perfezione, vita, morte e miracoli dei calciatori, ecco che sono arrivati i titoli regionali. E' il modo migliore per creare una mentalità e dare una continuità”.



Riccardo invece dicono assomigliare più a lei.

“A me servono anche dirigenti, Riccardo a quattordici anni ha le idee molto chiare. I suoi interessi sono capire le dinamiche societarie, se non lo freni è anche pericoloso (ride, ndr). Però mi serve uno che sappia mandare avanti il Tor di Quinto anche dal punto di vista dirigenziale. Poi crescerà sotto l'ala di Tafani e Guarracino e sa da dove viene la sua famiglia. Abbiamo settanta anni di storia, non ci siamo confusi con nessun ricco, nessun magnate. Il campo è la casa, abbiamo curato l'orto come i contadini ed eccoci qua”.



Quindi dobbiamo aspettarci un futuro roseo?

“Voglio essere sincero: quando intorno ad un club gravitano manager di qualità come Gravina (Italpol, ndr), gente di sport, di spessore, gli scenari possono essere moltissimi. Stiamo valutando tanti progetti con la massima tranquillità, l'importante è che ogni scelta venga fatta senza intaccare il dna del Tor di Quinto, senza farci perdere la bussola e i nostri obiettivi che sono il settore giovanile e il sociale”.



Il calcio ha vissuto una stagione difficile. Violenza, corruzione, scandalo scommesse: come si ferma tutto questo?

“Non vorrei essere né banale, né fazioso, ma sono convinto che il calcio rispecchi chi lo comanda. Se un'organizzazione si permette un presidente come Tavecchio, poi è inutile che si lamenti che la crescita sia lenta. Ho invece tanta stima del presidente del Cr Lazio Zarelli. Per noi è una garanzia e sono dispiaciuto di questi fatti brutti accaduti nella nostra regione, ma il sistema non dà più direttive chiare”.



Zarelli, però, è stato uno dei primi a caldeggiare la candidatura dell'attuale presidente FIGC.

“In tutto questo, naturalmente c'è il gioco delle parti e un grande equivoco. Il presidente del Comitato dovrebbe essere eletto invece a noi è stato praticamente imposto da sempre. È chiaro che Zarelli è allineato con Tavecchio: fa parte della stessa linea di comando. L'unica cosa certa è che è stato scelto perché la tradizione voleva che il segretario diventasse presidente. È sempre stato così: poi siamo stati fortunati ad avere Sbardella, Zarelli e tutti gli altri. Con questo non voglio criticare il valore delle persone, ma critico un sistema che non ci ha dato l'opportunità di staccarsi dal carro”.



Ultima domanda sulla politica, sua altra grande passione: chi sarà il nuovo sindaco di Roma?

“Sono comunista da quando sono nato, ho avuto dirigenti che mi hanno insegnato a perdere, in questo periodo ho lavorato tanto e ho dato il massimo come sempre. Per me il PD ha già fatto un miracolo ad andare al ballottaggio, ma credo che comunque vada la nuova giunta non durerà tantissimo. Penso che per ritrovare un equilibrio a Roma bisognerà attendere comunque il 2018, con le nuove politiche. Staremo a vedere chi la spunterà, il Movimento Cinque Stelle mi incuriosisce, ma la partita ancora non è chiusa”.

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