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Brusco: "Le canzoni non le scrivi, ti ci imbatti..."

L'artista reggae della Capitale racconta la sua carriera ed il suo amore per il calcio e la Roma

Il calcio e la musica hanno più punti di contatto di quelli che immaginiamo. Pizzicano le corde più basse del nostro animo, stimolano i nostri istinti primordiali, coinvolgono milioni di persone che si ritrovano nello stesso posto con lo stesso desiderio: emozionarsi. C’è chi, con le canzoni sulla propria squadra del cuore, ci ha costruito una carriera. Chiaramente esaltandola, ché la fede è sempre a favore e mai contro. Non è il caso di Giovanni Miraldi, in arte Brusco. O meglio non sempre. In quasi vent’anni di carriera il cantante romano ha scritto solo un paio di pezzi sul suo club preferito: la Roma. Il più famoso recitava a memoria la rosa del terzo Scudetto giallorosso. L’altro, di otto anni più giovane, era molto critico nei confronti di Rosella Sensi. Canzone che Brusco tranquillamente potrebbe dedicare anche alla proprietà americana. In una lunga intervista, l’autore di successi come “Abbronzatissima” e “Sangue” ci racconta la sua carriera, il suo pensiero sulle nuove tendenze musicali e il suo amore per il calcio. Che è diverso da quello per la Roma. Sono due cose ben distinte. 

Giovanni, è nata prima la passione per la musica o quella per il calcio?

“La seconda: da bambino ascoltavo la musica, probabilmente più dei miei coetanei ma non le davo l’importanza che invece davo al calcio. Pardon alla Roma, perché per me sono due cose ben distinte”.


La prima partita che ha visto?

“Avevo otto anni, 1982. Roma-Cesena. Ero con mio papà e mio cugino, una figura che ha contribuito molto a far nascere il mio amore per questi colori. Inizialmente andavamo in Tevere poi piano piano siamo trasmigrati in Sud”.


E con il calcio giocato, invece, come ci mettiamo?

“Ero una bella pippa (ride, ndr). Giocavo davanti. In realtà lo faccio ancora oggi con gli amici. Sono un pigro e complice l’assenza del fuorigioco, mi aggiro dalle parti della porta avversaria in attesa del pallone giusto. Non sono mai stato tesserato, però. Solo partite amatoriali”.


A chi si ispirava?

“Adoravo Roberto Pruzzo ma impazzivo letteralmente per Zico. Le Tv private, alla fine degli anni ’70, facevano vedere alcune partite del campionato brasiliano. Questo dieci segna caterve di gol e tutti bellissimi. Lo prese l’Udinese e io rosicai molto. Ma arrivò Falcao e quindi…”


Quali sono i principali punti di contatto tra la musica e il calcio?

“Sono due macro contenitori. Credo che il loro pregio più importante sia la capacità di mettere insieme tante persone. E di regalare emozioni forti”. 


Quando nasce l’idea di poter fare il musicista?

“Molto tardi, la musica è sempre stata una passione. Da ragazzino avevo una band, facevamo cover. Dopo varie esperienze, la vera svolta è arrivata tra il 2000 e il 2001: la canzone sulla Roma, un album di successo. Prima mi arrangiavo con mille altri lavori: ho fatto anche il giornalista”. 


E le canzoni, invece, come le scrive?

“Le canzoni non si scrivono: ti ci imbatti. “Per Roma” (la canzone che celebra la Roma del terzo Scudetto) ad esempio nacque come tutte le cose migliori: in pochissime ore e cazzeggiando. La ripropongo poco ai concerti: non voglio problemi, non voglio che la gente litighi sotto il palco. La musica deve unire, non dividere…”


Dovrebbe farlo anche il calcio…

“L’artista te lo scegli, la squadra no. Il tifo è una condanna. Però è vero che una volta si era meno spaccati. Ma si parlava anche molto meno di calcio”. 


Ha contribuito anche lei: nel 2009 ha scritto una canzone che criticava Rosella Sensi…

“Vero. Ma non solo lei anche tutto l’ambiente che ruotava intorno al club. Si parlava di passaggio di mano, di Soros. Era un invito ad investire di più per vincere. Anche quelli di adesso se la meriterebbero una canzone simile…”


Non le piace la gestione americana?

“Ne riconosco i meriti: l’innovazione tecnologica, la crescita del marchio. Non ne capisco le strategie: il meccanismo che ti porta a vendere giocatori affermati per prenderne alcuni sconosciuti non può essere vincente”.


Di Monchi che ne pensa?

“Non sono un amante dei fenomeni ma forse è stato sbagliato anche il modo in cui ce lo hanno raccontato. Io giudico i fatti: guardo cessioni, acquisti e poi il bilancio. Io avrei fatto peggio? Certo che per prendere Pastore e Nzonzi, e a quelle cifre, non servono anni di esperienza. Siamo riusciti a superare affari sbagliati come quelli di Iturbe e Schick al quale, comunque, darei ancora un po’ di tempo”. 


Qualche giocatore giovane importante, però, è arrivato: Under, Zaniolo…

“Vogliamo fare un paragone con Salah? Non regge. Ma poi questa politica quante volte può andare bene? Non parlo delle cessioni di Nainggolan e Strootman ma dei soldi spesi per Coric e Bianda, ad esempio. Si fossero investiti meglio magari si potevano tenere calciatori importanti come Alisson. Zaniolo, poi, se lo sono ritrovato tra le mani: un’operazione fortunata. Ma è una mia idea”. 


Va bene: faccia il presidente. Prima decisione da numero 1 della Roma?

“Quanto budget ho?”


Facciamo i soldi della qualificazione in Champions.

“Scappo con la valigia (ride, ndr). A parte gli scherzi vorrei prendere giocatori di fascia intermedia: se ben allenati possono dare grandi soddisfazioni. Poi farei operazioni per aumentare la personalità del gruppo, come quelle che hanno portato Maicon, Dzeko, Kolarov. Più che altro se fossi il presidente della Roma starei in città. Se abiti lontano lasci subito intendere quale posto occupa la società nel tuo cuore”. 


E’ stata fatta un’operazione simpatia/nostalgia: il ritorno di Ranieri.

“Il migliore su piazza per chiudere questa stagione in maniera seria. L’ex Leicester, da subentrante, è bravissimo. E sulla lunga gestione che ho dei dubbi. Ma tanto alla fine non sappiamo nemmeno più sognare: ci hanno tolto anche questo. Un po’ è responsabilità di questa società, un po’ anche della Juve schiacciasassi”.


Fortissima, eh.

“Calcisticamente li ho odiati più della Lazio. Negli anni ’80 e 2000, quando la Roma era competitiva, le hanno tolto molti successi che avrebbe meritato. E dopo si è capito anche perché. Questa Juventus, invece, è diversa: vince perché è proprio più forte delle altre. Spero vinca qualcosa di importante, così magari si placherà. E la Serie A tornerà ad essere interessante”. 


Più difficile diventare un calciatore o un musicista professionista?

“Direi il calciatore. La musica possono farla un po’ tutti e si può avere successo anche senza doti spiccate. Nel calcio è diverso: le regole di ammissione a quel mondo sono più rigide”.


Pensa che l’avvento di Internet abbia favorito progetti musicali che altrimenti non avrebbero avuto tutto questo seguito?

“Tantissimo. E’ evidente che c’è stato un abbassamento della qualità generale, anche se questo è un concetto abbastanza relativo. Alcune cose, però, sono fighe: non è importante se canti sfruttando l’autotune o meno ma se sei originale, creativo. Certo, Spotify e YouTube hanno scombussolato anche il mondo delle major e i pochi spazi che prima erano a disposizione tra radio e tv. Di contro manca il filtro di prima: i nostri figli possono ascoltare di tutto”. 

Anche i dati dei concerti, quindi, sono “dopati”? Cremonini, ad esempio, ha provato lo Stadio Olimpico dopo vent’anni di carriera. Ultimo, invece, è già sold out nonostante abbia solo tre album sulle spalle…

“I cantanti si sono moltiplicati. Il difficile non è arrivare in alto ma rimanerci più a lungo possibile e in questo Cesare è un maestro. Ad Ultimo, che non conosco, dico: se riempi l’Olimpico, hai vinto. C’è poco da aggiungere”. 


Talenti che esplodono nella musica ma che mancano nel calcio. Perché?

“E’ un insieme di problemi. Ma ultimamente mi pare che qualche ragazzino interessante stia venendo fuori: Chiesa e Zaniolo ad esempio. Non capisco perché in un mondo in cui girano così tanti soldi ci sia così poca professionalità. Con tutti gli investimenti che vengono fatti questo è un ambito che dovrebbe crescere molto di più, specialmente dal punto di vista psicologico e medico”. 


Senta questa triade: Ranieri direttore tecnico, Totti direttore sportivo e De Rossi jr allenatore. Le piace?

“A Daniele darei qualche anno di gavetta ma il resto non mi piace. Totti non può fare il ds, deve essere l’uomo immagine della società. Un conto sono le capacità innate, un conto è quello che devi imparare lavorando”. 


Però, Totti le manca, dica la verità…

“Da morire. Ho un figlio piccolo e ho il cruccio di non essere riuscito a fargli vedere nemmeno un minuto del Capitano. Quando guardo le partite spesso penso: «Ci fosse stato Lui, eravamo già 1-0». Totti è stato molto più di un calciatore, di un simbolo. E’ stato tutto per noi e per tantissime stagioni. La domanda che mi faccio è: se la società americana fosse arrivata vent’anni fa, Totti sarebbe rimasto?”


Effettivamente quella dell’ex capitano giallorosso è stata una follia: scegliere di rimanere a Roma invece di andare a vincere altrove. Lei ha fatto più follie per la Roma o per la musica?

“La musica è la mia vita e mi porta a fare. Ma le emozioni vissute guardando quei due colori non sono descrivibili”.


Ci deve essere stato un momento in cui la musica ha rappresentato tutto, però…

“Jamaica, 2010. Feci un concerto meraviglioso. Scendendo dal palco mi sono detto: non so più che chiedere alla musica”. 


Progetti futuri?

“Ci sono un bel po’ di canzoni pronte: il primo singolo girerà a fine mese e anticiperà l’album in uscita per l’estate. Ma non voglio spoilerare altro”.

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