L'editoriale
Sei mesi in apnea: bentornato Leo!
Era il 4 agosto, un cerchio alla testa a causa di un caldo inimmaginabile nella stanza. Squilla il telefono, saranno state le 9. La testa implode del tutto. Un paio di singhiozzi e il pianto dall'altra parte, poche parole, secche, il sangue che si gela. "Leo ha avuto un problema grave all'occhio, rischia di non farcela". Il silenzio. Una notizia atroce, di quelle che in un modo o nell'altro ti cambiano. Poche altre volte avevo sentito quel senso di vuoto. Un paio di giorni prima la gioia di un trasferimento dolceamaro. Perché lasciare mamma Roma non è mai semplice, figurarsi per chi con quella maglia ci è nato e cresciuto, poi l'ha conquistata e con lei ha vinto due Scudetti. Però adesso c'è il Milan, che ha creduto in te più di quanto non lo abbiano fatto dalle parti di Trigoria. Il sogno della prima squadra vivo come non mai e, al di là del campo, un'esperienza di vita. La vita. Quella che il destino all'improvviso rischia addirittura di portarsi via. Senza un motivo. Senza una ragione. Le continue strette allo stomaco, perché se per l'emozione fatico a scrivere quando chi ho visto crescere realizza il sogno di un esordio, di un gol in prima squadra... Figurarsi gestire emotivamente e giornalisticamente una notizia del genere. Giornalisticamente, eh. Perché c'è anche quello, che però passa in secondo piano a fronte di certe situazioni. E allora la notizia non esce, mi viene la nausea solo al pensiero di dover digitare quei tasti. Io voglio sapere solo che Leonardo stia bene. E invece no, c'è un intervento da superare. Sembrerà assurdo ma, tra un pianto e l'altro, l'unico ad avere forza era proprio Leonardo. Solo, Leonardo. Con quel solito atteggiamento di chi non ha paura di niente e sembra dominare il corso degli eventi, con quella solita faccia da burlone di chi già sa di superare tutto. Un po' come quando prima di un derby di due anni prima, sprezzante anche davanti alla scaramanzia: "Vinciamo facile, ne facciamo almeno tre". Aveva ragione. Però davanti ad un'operazione chirurgica così delicata la ragione non basta. Allora la foto con Massara e Florenzi accorsi in ospedale, la maglia autografata da Van Basten, la forza di una splendida famiglia alle spalle, di quelle che ti fanno crescere in un certo modo. "Non riesco a tenerlo a letto, vuole il pallone". Razza di uno scemo che non sei altro, Leo. Mentre tutti pregavamo che potessi tornare in piedi, tu avevi già avviato il cronometro: "Sei mesi e torno in campo". Così è stato. Ancora una volta quella faccia da paravento ha avuto ragione. Sei mesi di apnea e oggi, finalmente, si torna a respirare. Leo, soprattutto. Tornano a respirare Mamma Veronica e Papà Roberto, il fratello gemello Francesco e la sorella Aurora. Tornano a respirare Nonno Carlo e Nonno Benito, che non si è mai perso una partita di quei due meravigliosi nipoti. Rigorosamente accompagnato dalla spilletta sulla giacca griffata Roma, ovviamente. Torna a respirare tutta la famiglia. Tornano a respirare gli amici. E torno a respirare anche io, Leo, che dal 4 agosto ti ho pensato ogni giorno come fossi mio fratello.