L'intervista

Enrico Centaro a 360 gradi: gli inizi, Vieri e suo figlio

Parola al tecnico del Montefiascone, ancora a caccia della salvezza e che può allenare un allievo davvero speciale

Il Montefiascone è alla ricerca della salvezza, possibilmente senza play out, con una squadra costruita di padre in figlio, verrebbe da dire. Infatti la società gialloverde sta puntando sui giovani del suo vivaio e questi sono stati affidati alle cure di Enrico Centaro, falisco doc. Per il tecnico anche un impegno speciale, con il figlio di sei anni che gioca nella scola calcio, nel gruppo da lui seguito.


Enrico, quando ti ha chiamato il presidente Minciotti per allenare la squadra del tuo paese quanti secondi sono passati per dare la risposta? "Credo meno di un secondo, come facevo a dirgli di no aspettavo questo momento dal giorno che ho iniziato ad allenare. Siamo una squadra giovanissima, la più giovane di tutti e quattro i gironi credo. Abbiamo deciso di disputare il campionato con una squadra di questo tipo (età media 18 anni e sei mesi ndr) consapevoli del fatto che ci sarebbero state delle difficoltà. In sostanza a Montefiascone si fa quello che tutti dicono, ossia far giocare i giovani, ma che poi nei fatti pochissime squadre fanno. I giovani non sono un problema ma anche un' opportunità. È chiaro con qualche giocatore d'esperienza in più saremmo già salvi. Credo comuneque che il nostro settore giovanile che credo sia il più competitivo, completo e di prospettiva della regione"

Primo anno al Montefiascone dopo aver fatto altre esperienze nonostante la tua giovane età "Ho iniziato a Marta dalla Seconda Categoria che ricordo sempre con grande piacere. Fu il mister Natali a consigliarmi di intraprendere questo percorso. Piano, piano, con il lavoro sono arrivato in Prima Categoria poi in Promozione ed infine in Eccellenza"

Parlaci del Centaro calciatore "Sono partito dalla Scuola Calcio del Montefiascone ed ho avuto grandi tecnici come Gianni Schicchi e Gianni Casciani, passando per Dei Svaldi e Marconi. Poi andai al Paradiso Viterbo con Violetti e Rempicci ed in seguito approdai prima alla Lodigiani, società meravigliosa che mi è rimasta nel cuore come esempio di organizzazione e competenza. Poi al Torino dove ho avuto il più grande maestro di calcio Sergio Vatta. Un mister che prima del calcio ti insegnava, sacrificio, umiltà educazione, rispetto, serietà. Mai una parola fuori posto, ti gridava i pregi davanti a tutti e ti sussurrava i difetti all’orecchio, trovava le soluzioni ai problemi con il dialogo e con una saggia discussione. Aveva la capacità di far diventare un tuo difetto un pregio mi ricordo che a Vieri, all’inizio, tutti contestavano il fatto che da punta stesse spalle alla porta, il mister diceva sempre di lasciargli fare il suo percorso che avrebbe fatto carriera in quel modo perché era un suo pregio ed infatti... Ricordo anche la Viterbese dove giocavo insieme a Del Canuto, al quale auguro di vincere questo campionato, poi gli anni in cui giocavo in eccellenza in Umbria prima a Deruta poi a Città della Pieve".

Che effetto ti ha fatto venerdì scorso allenare tuo figlio, quello più piccolo? "A pranzo mi ero raccomandato di non chiamarmi babbo durante l’allenamento. Appena entrati in campo, nella sua ingenuità di un bambino di 6 anni, mi ha chiamato, prima mister, poi babbo e infine babbo-mister! Come non detto, alla fine era meglio non dirgli nulla”

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