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Ladispoli, la fine di un'era. Claudio Dolente si racconta
Dopo 42 anni al servizio del club rossoblù, l'allenatore, dirigente e calciatore tirrenico lascia
Una bandiera non si ammaina mai, anche per quanto poi possa iniziare a sventolare da un'altra parte. Perché una bandiera è un simbolo forte, che conduce tutti quelli che se ne sentono rappresentati verso un'unica direzione. Nel calcio, verso un unico obiettivo, quello di rappresentare quei colori che la bandiera rappresenta e di farlo nella migliore maniera possibile. Dalla storia di una bandiera si apprendono valori, si costruiscono nuovi percorsi da battere per raggiungere l'eccellenza. Non è mai semplice, soprattutto se il vessillo da custodire e difendere è in quella provincia che cerca, con ogni mezzo possibile, di strappare porzioni di potere e di vittorie a quella Capitale che riesce a farla da padrone. Claudio Dolente il titolo di bandiera del Ladispoli se lo è guadagnato, letteralmente, sul campo. Oltre 40 anni (quarantadue) al servizio non tanto di una squadra o di un club, ma per qualcosa che è molto più vicino all'ideale: essere una roccaforte calcistica in riva al mar Tirreno, ad oltre 50 chilometri di distanza da quel bacino d'utenza, di risorse e di speranze che è Roma. Nel dilettantismo questo fa tutta la differenza del mondo e quando non si può competere con gli investimenti, sono il senso di appartenenza, la dedizione e la cultura del lavoro a far sì che ogni impresa da impossibile diventi almeno perseguibile. Di lavoro, di calcio e di soddisfazioni sia come giocatore, che come allenatore e poi direttore, Claudio Dolente ne ha vissuti, sempre con gli stessi colori, fino al giorno in cui ha deciso di fare un passo indietro. L'incredibilità del fato ha voluto che il rosso ed il blu siano ancora addosso a lui, ma da un'altra parte, più a nord ma con lo stesso sentimento di sempre. L'intervista integrale a Claudio Dolente sarà disponibile nell'edizione di lunedì 30 giugno